Terremoti, ecco quello che sappiamo

Terremoti
(Immagine: Pixabay)
Terremoti
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Il bilancio delle vittime riconosciute conta oltre 300 persone. I feriti e gli sfollati sono molti di più. Diversi paesi sono andati distrutti. E migliaia di edifici sono pericolanti e inagibili. È la tragica eredità che ci lascia il terremoto di magnitudo 6.0 che ha colpito l’Italia centrale. Tanto si potrebbe dire – e si è detto, e si continuerà a dire – sulla natura del sisma, sulle regole per costruire edifici sicuri, sul trattamento degli sfollati e su quanto sia importante (e difficile) cercare di ripensare, da subito, alla ripresa della vita di tutti i giorni. Per completare il quadro, ecco un breve vademecum scientifico di quello che sappiamo (e che dovete sapere) sui terremoti.

Cosa sono e come si scatenano
Stando alla definizione fornita dallo United States Geological Survey (Usgs), i terremoti sono movimenti della crosta terrestre provocati dall’improvviso spostamento o scivolamento di una faglia, ovvero una sorta di crepa della crosta stessa. Il punto (sotterraneo) in cui avviene tale spostamento si dice ipocentro; il punto corrispondente in superficie si dice epicentro del sisma. Lo spostamento della faglia provoca l’improvvisa liberazione di energia, che si propaga in tutte le direzioni a partire dall’ipocentro sotto forma di una serie di onde elastiche (le cosiddette onde sismiche). In verità, le placche tettoniche – ovvero le porzioni di crosta terrestre delimitate dalle faglie – sono sempre in lento movimento: i terremoti avvengono generalmente, per l’appunto, quando due placche tettoniche sfregano o collidono in corrispondenza della placca; sismi di questo tipo sono detti terremoti tettonici. Meno frequentemente, può accadere che un sisma non avvenga in corrispondenza di una faglia, ma all’interno di una placca: gli eventi siffatti sono detti terremoti intraplacca.

L’intensità del sisma varia a seconda del tipo di movimento della faglia, del tipo di roccia coinvolta e molti altri parametri. Durante l’evento, sono tre le onde sismiche che si propagano: le cosiddette onde di compressione, o longitudinali, il cui piano di oscillazione è parallelo alla direzione di propagazione; le onde di taglio, o trasversali, più lente, in cui l’oscillazione è perpendicolare alla direzione di propagazione; infine, le onde superficiali, che si manifestano a una certa distanza dall’epicentro e si attenuano via via che ci si allontana da questo.

Come si classificano e misurano
Ipocentro, epicentro e intensità di un terremoto vengono misurati tramite i sismografi, che registrano le onde sismiche; inoltre, i monitoraggi satellitari permettono di rilevare molto precisamente gli spostamenti della crosta terrestre in seguito al sisma. Fino agli anni ’70, l’intensità di un terremoto si misura con la scala Richter, sviluppata per la prima volta da Charles Richter negli anni ’30 per caratterizzare quantitativamente i terremoti che avvenivano nella California meridionale. Si tratta di una scala in cui l’intensità del terremoto è determinata dal logaritmo dell’ampiezza delle onde registrate dai sismografi. Successivamente, quando la rete di sismografi divenne più fitta, la scala fu aggiornata ed estesa con l’introduzione della cosiddetta scala di magnitudo del momento, in cui le misurazioni sono opportunamente pesate rispetto alla distanza del sismografo dall’epicentro del sisma. La magnitudo del momento, spiega ancora lo Usgs, è una quantità fisica proporzionale allo spostamento della faglia moltiplicato per l’area della superficie che si sposta, ed è collegato all’energia totale rilasciata dal terremoto. Tramite una formula standard, è possibile ricondurre la magnitudo del momento a un numero simile a quello espresso dalla scala Richter (ed è per questo motivo che spesso le scale vengono confuse tra loro).

Prima dell’introduzione della scala Richter (e della scala di magnitudo del momento), i terremoti venivano classificati con la scala Mercalli, introdotta dall’omonimo sismologo italiano nel 1902 e basata sugli effetti distruttivi prodotti dal sisma su persone ed edifici. Per fare un esempio, un terremoto di primo grado della scala Mercalli è “avvertito solo dagli strumenti sismici”; un terremoto di sesto grado provoca “qualche leggera lesione negli edifici e finestre in frantumi”. Un terremoto di dodicesimo grado, l’ultimo della scala, è classificato come “apocalittico”, e provoca “distruzione di ogni manufatto, pochi superstiti, sconvolgimento del suolo, maremoto distruttivo, fuoriuscita di lava dal terreno”.

Foreshock, aftershock
In questi giorni si è sentito molto parlare di sciame sismico, foreshock e aftershock. Di cosa si tratta? Come spiega il Caltech, per foreshock si intendono “dei terremoti che avvengono immediatamente prima [analogamente, gli aftershock sono quelli che avvengono immediatamente dopo, nda] di una scossa principale, esattamente nella stessa zona in cui avviene la stessa scossa principale. Possono verificarsi in gruppo o essere eventi singoli. Il tempo tra l’ultimo foreshock e la scossa principale può variare, ma è tipicamente meno di un giorno”. Purtroppo, avvertire un foreshock non può servire a prevedere un terremoto, perché, guardando alle serie storiche, “non ci sono caratteristiche intrinseche dei foreshock, della scossa principale e di quelle successive: in altre parole, se si guardano i sismogrammi estrapolando tali scosse dal contesto e senza sapere se hanno seguito o preceduto altri eventi, non c’è modo di identificarli correttamente. Si presentano esattamente allo stesso modo: nessuno di essi ha caratteristiche peculiari che permettono di metterli in relazione con altri eventi. Neanche la magnitudo li rende riconoscibili con certezza. Sia i foreshock che gli aftershock di scosse molto importanti possono essere più forti di scosse principali moderate”.

Miti e luoghi comuni
Uno dei miti più diffusi nell’ambito dei terremoti riguarda, naturalmente, la possibilità di prevedere dove colpiranno e quanto saranno intensi. Come più volte ricordato, purtroppo al momento non ci sono evidenze scientifiche che permettono di effettuare con precisione alcun tipo di previsione. L’unica cosa al momento possibile è l’elaborazione di mappe di rischio e lo studio di serie storiche passate per determinare quali regioni nel mondo corrono più concretamente il pericolo di eventi sismici. Per esempio, spiega ancora l’Usgs, i sismologi stimano che nei prossimi 30 anni la probabilità che avvenga un terremoto di magnitudo 7.0 nella California settentrionale è pari al 76%. Quindi, ancora una volta, è bene ripetere che gli sforzi per la mitigazione delle conseguenze dei terremoti devono focalizzarsi soprattutto sulla messa in sicurezza degli edifici, piuttosto che su previsioni (al momento inattendibili) a breve termine. Anche l’analisi di comportamenti anomali di animali e di strani sintomi e sensazioni avvertiti dal corpo umano prima di un terremoto è da ritenersi, al momento, puramente aneddotica e priva di evidenze scientifiche solide.

Un altro luogo comune è relativo al possibile verificarsi di terremoti davvero apocalittici, i cosiddetti Mega Quake, di magnitudo superiore a 10.0. Dal punto di vista teorico, dicono gli esperti dell’Usgs, un terremoto siffatto potrebbe effettivamente avvenire, ma più realisticamente (e per fortuna) la probabilità è molto bassa. Il motivo è che l’intensità di un terremoto è correlata alla lunghezza della faglia interessata: al momento non è conosciuta nessuna faglia abbastanza lunga da poter generare un terremoto di magnitudo 10.0. Il sisma più forte di cui abbiamo traccia (magnitudo 9.6) avvenne nel maggio 1960 in Cile, lungo una faglia di oltre mille chilometri.

In Italia
L’Italia, come la cronaca recente (ma non solo) c’insegna, è purtroppo una regione ad alto rischio sismico, la più alta del bacino del Mediterraneo. Stando a quanto spiega la Protezione civile, tale rischio è dovuto alla sua particolare posizione geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella euroasiatica. La sismicità più elevata, come visibile nella mappa di rischio qui sotto, si concentra nella parte centro-meridionale della penisola, lungo la dorsale appenninica (Val di Magra, Mugello, Val Tiberina, Val Nerina, Aquilano, Fucino, Valle del Lir, Beneventano, Irpinia), in Calabria e in Sicilia e in alcune aree settentrionali come il Friuli, parte del Veneto e la Liguria occidentale. Solo la Sardegna non risente particolarmente di rischi sismici.

Il terremoto più forte di cui si abbia notizia è quello che colpì la Val di Noto nel gennaio 1693, di magnitudo 7,41, che provocò circa 60mila morti. Il sisma più disastroso, invece, è quello che colpì nel 1908 Messina e Reggio Calabria, di magnitudo 7,24, che provocò circa 100mila morti e un numero altissimo di feriti e sfollati. I grandi terremoti più recenti sono stati quelli de L’Aquila (6 aprile 2009, magnitudo 6,3), dell’Emilia (20 maggio 2012, magnitudo d5,9) e del centro Italia (23 agosto 2016, magnitudo 6,0).

Via: Wired.it

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