Alzheimer, prove di terapia genica

(Credits: NIH Image Gallery/Flickr CC)

I ricercatori dell’Imperial College di Londra sono riusciti a prevenire lo sviluppo dell’Alzheimer in alcuni topi grazie alla terapia genica. Come, lo raccontano in uno studio presentato sulle pagine di Pnas.

Tutto è nato da alcune osservazioni che lo stesso team aveva già messo da parte in passato, relative al comportamento e all’azione di un gene, la cui espressione è ridotta nel cervello di chi soffre della malattia. Il gene in questione è PGC1-alfa, ed è in grado di impedire la formazione della proteina neurotossica beta-amiloide, il cui sviluppo dà origine alle placche amiloidi, coinvolte nella morte delle cellule celebrali e tra i tratti più distintivi della malattia di Alzheimer, i cui casi sono destinati a triplicarsi entro il 2050.

Nel nuovo studio, i ricercatori hanno usato un virus per portare il gene di interesse (PGC-1-alfa, coinvolto anche nei processi metabolici dell’organismo, inclusa la regolazione di grassi e zuccheri) all’interno delle cellule del cervello dei topi usati come modello della malattia. La speranza era così di aumentare i livelli della proteina prodotta dal gene. Il virus modificato utilizzato negli esperimenti è un lentivirus, comunemente usato nella terapia genica in altre malattie. Le aree coinvolte erano invece l’ippocampo e la corteccia, e per un motivo particolare. Queste sono infatti le prime regioni a sviluppare le placche amiloidi: danni all’ippocampo colpiscono la memoria a breve termine e hanno ripercussioni sull’orientamento, mentre la corteccia è responsabile della memoria a lungo termine, il ragionamento, il pensiero e l’umore. Gli animali sono stati sottoposti a terapia genica nelle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, quando non avevano ancora sviluppato le placche.

Dopo quattro mesi, il team ha osservato che i topi che hanno ricevuto il gene avevano molte meno placche rispetto ai topi non trattati. Inoltre, i topi trattati avevano buone prestazioni nei test di memoria, del tutto uguali quelle dei topi sani. Ma non solo. Cme raccontano i ricercatori, non vi era alcuna perdita di cellule cerebrali nell’ippocampo dei topi che avevano ricevuto la terapia genica, ma una riduzione del numero di cellule della microglia, che nell’Alzheimer possono rilasciare sostanze infiammatorie tossiche, causa di ulteriori danni neurali.

“Anche se questi risultati sono preliminari – ha commentato Magdalena Sastre, autrice della ricerca – suggeriscono che questa terapia genica potrebbe avere un potenziale uso terapeutico per i pazienti. Ci sono molti ostacoli da superare, e al momento l’unico modo per fornire il gene è tramite una iniezione direttamente nel cervello. Tuttavia questo studio pilota dimostra come questo nuovo approccio meriti ulteriori indagini”. La speranza, come sempre, è che le nuove scoperte uno giorno possano fornire un metodo per prevenire la malattia, o arrestarla nelle fasi iniziali.

La ricerca, infatti, pone le basi per esplorare la terapia genica come una strategia di trattamento per la malattia di Alzheimer, ma sono necessari ulteriori studi per stabilire se questa possa essere realmente sicura, efficace e pratica da usare nell’essere umano. I risultati però non hanno a che fare solo con la terapia genica, ma confermano anche che PGC-1-alfa è un potenziale bersaglio per lo sviluppo di nuovi farmaci.

Riferimenti: Pnas

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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