Si stima che oggi al mondo siano 55 milioni le persone colpite da demenza, gran parte da Alzheimer, una malattia che da sola nel 2050 potrebbe contare 70 milioni di pazienti. Una sfida tanto in campo sociosanitario, che di ricerca: trattamenti efficaci stentano ad arrivare (il caso di aducanumab è solo l’ultimo che dimostra quanto sia complicata la vicenda) ma anche sull’identificazione delle cause non c’è ancora chiarezza. Sappiamo che la malattia ha una grossa componente genetica, ma al tempo stesso che la genetica non basta. Eppure trovare le vie alterate sarebbe essenziale per capire dove agire per contrastare la malattia. E’ anche in questa direzione che va lo studio appena presentato sulle pagine di Nature Genetics, che ha portato alla scoperta di 42 nuove regioni genetiche associate alla malattia.
A mappare la genetica della malattia è stata un’équipe di ricercatori, partendo dai dati di 111326 persone con Alzheimer o loro parenti e 677663 controlli attraverso un genome-wide association study (GWAS). In sostanza si analizzano i genomi andando a caccia di varianti associate a una malattia. Settantacinque quelle identificate in totale, solo 33 delle quali note. Ovvero varianti che mappavano in geni collegati a vie molecolari o a componenti cellulari che è noto da tempo avere un ruolo nell’Alzheimer. E’ il caso, per esempio, di quelle collegate alla proteina tau o alla beta amiloide – due ipotesi in ballo per spiegare la fisiopatologia della malattia – o al funzionamento della microglia, cellule che normalmente funzionano come sentinelle di difesa. Nell’Alzheimer però queste cellule risultano alterate, e la loro disfunzione si crede possa portare a un accumulo della beta amiloide, danneggiando i neuroni.
Ma c’è dell’altro: ci sono varianti che finora non erano state collegate alla malattia, sebbene qualche indizio portasse a credere che i geni correlati fossero implicati. E’ il caso del TNF-alfa, una molecola infiammatoria. L’infiammazione cronica, infatti, è stata correlata all’Alzheimer, e diverse vie molecolari identificate nello studio (a livello genetico) portano al TNF-alfa, individuandolo come un probabile attore centrale nella malattia, e come possibile target. La speranza infatti è che studi simili aiutino a sviluppare dei trattamenti gene-specifici, che colpiscano le vie alterate nella malattia.
L’identificazione delle regioni genetiche associate alla malattia ha permesso ai ricercatori di abbozzare un sistema per valutare il rischio di sviluppare l’Alzheimer negli anni a venire dopo la comparsa dei primi sintomi: “Sebbene questo strumento non sia indicato per essere utilizzato ora nella pratica clinica, potrebbe essere molto utile per allestire sperimentazioni così da classificare i pazienti rispetto al loro rischio e migliorare la valutazione dei trattamenti testati”, ha commentato Jean-Charles Lambert dell’Inserm, che ha coordinato la ricerca.
Riferimenti: Nature Genetics
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