Un misterioso ominine superarcaico si incrociò con i Neandersovan

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(Credits: Clemens Vasters/Flickr CC)

È una storia a dir poco complicata quella dei nostri antenati. Cerchiamo di ricostruirla studiando i resti fossili via via scoperti negli anni, ricostruendo le loro migrazioni e leggendo, laddove possibile, le informazioni custodite nel loro dna. Qui, nella sfilza di basi che si susseguono, ci sono indizi preziosi per provare a ricostruire le intricate relazioni tra tutti i componenti della famiglia (umana) allargata. A volte le tracce risalgono a componenti addirittura sconosciuti. Misteriosi ominini di cui non abbiamo che indizi indiretti della loro presenza.

È questo il caso di una ricerca, disponibile al momento su BioRxiv, che racconta di un incrocio avvenuto tra gli antenati di Neanderthal e Denisoviani – cui si si riferisce con il nome di Neandersovan – e una popolazione superarcaica. Tutto grazie alle analisi del dna, che hanno rivoluzionato la ricerca in antropologia e ci hanno permesso di alzare più di un velo su quello che avvenne nel nostro passato.

La preziosa fonte del dna

“Da quando abbiamo appreso come estrarre dna dai fossili e a sequenziarne il genoma, abbiamo avuto a disposizione uno strumento eccezionale per confrontare il genoma delle specie estinte con il nostro, come anche tra loro”, racconta a Wired Giorgio Manzi, paleoantropologo, professore di antropologia alla Sapienza di Roma e accademico dei Lincei. Ma si tratta di opportunità limitate a una finestra temporale ristretta e dettate dalle condizioni ambientali del luogo del ritrovamento dei fossili: “L’estrazione del dna dai fossili è limitata a resti risalenti a decine di migliaia di anni fa, al massimo a centinaia di migliaia di anni”, riprende lo studioso. “Questo perché il dna nel tempo si degrada, e lo fa in maniera diversa a seconda delle condizioni ambientali: molte delle estrazioni più proficue sono quelle avvenute in territori freddi. In alcuni casi in cui certamente sarebbe stato interessante leggere il dna, come per i resti di Homo floresiensis, che hanno poche decine di migliaia di anni, il clima tropicale ha compromesso l’integrità del genoma rendendo impossibile questo tipo di analisi”.

Oltre a permetterci di capire come fossero fatti questi antenati – occhi e capelli castani per i denisova, carnagione chiara e capelli rossi per i neanderthal – le analisi del dna ci hanno consentito anche di portare alla luce una serie di incroci interspecifici: neanderthal con sapiens, neanderthal con denisoviani – è recentissima la scoperta di una discendente diretta di queste due specie – denisoviani con sapiens.

Storia di incroci

“Gli incontri tra diverse specie lasciano dei segnali nel dna, alcuni rimangono, magari perché utili, altri vengono epurati”, ci spiega Stefano Benazzi, ordinario di antropologia presso l’università di Bologna. Di questi incontri e incroci oggi si ha ormai una ragionevole certezza, anche se si discute ancora relativamente ai tempi in cui avvennero: “Sapiens e neanderthal si incontrarono circa 60 mila anni fa, ma secondo alcune teorie anche molto prima, addirittura circa 200 mila anni fa, appena i nostri antenati uscirono dall’Africa, e potremmo sapere qualcosa di più solo trovando alcuni fossili al riguardo”.

Intorno a 50 mila anni fa, riprende Benazzi, quando i sapiens si diffusero in Eurasia, avvenne l’incontro con i denisova, e ancor prima si stima quello tra denisova e neanderthal. Anomalo? No. “La nostra, come altre specie, non fa eccezione: anche se classicamente si considerano le specie come entità geneticamente isolate, in alcune condizioni avvengono ibridazioni inter-specifici”, riprende Manzi. La condizione per cui avvengano è determinata dalla vicinanza evolutiva, ovvero dal fatto che la separazione tra le due specie ci sia stata da non troppo tempo: “A quel punto può accadere che quando gli areali delle due specie in parte si sovrappongono possono ibridarsi, pur rimanendo specie separate”. Per la nostra specie, una volta fuori dall’Africa, la zona ibrida di questi incontri, limitati nel tempo, si è trovata a essere principalmente nel vicino Oriente, ricorda Manzi.

“In assenza di grandi limiti biologici, e forse anche culturali, in determinate condizioni gruppi sporadici di questi ominidi si incontravano e si accoppiavano”, aggiunge Benazzi. È ormai dunque accettata l’idea che, pur limitati nel tempo, questi accoppiamenti tra diverse specie avvennero più volte, ribadisce a Wired Silvana Condemi, paleoantropologa della Aix-Marseille Université, autrice di Caro Neandertal e di Noi siamo Sapiens (quest’ultimo di prossima uscita per Bollati-Boringheri): “Incroci sono sempre stati presenti tra i diversi umani: parliamo di popolazioni del passato che erano poche numerose e quindi meno competitive delle nostre. Scambiavano geni e tecniche di sopravvivenza”.

Un misterioso ominine? Forse

Di (altri) antichi incontri si torna a parlare oggi, dicevamo, sulle pagine di bioRxiv. I ricercatori guidati da Alan R. Rogers della University of Utah hanno analizzato il dna proveniente da diversi tipi di popolazioni: africani ed europei moderni e due popolazioni arcaiche, neanderthal e denisoviani. Quello che Rogers e colleghi hanno fatto è stato mettere insieme quanto noto sugli incroci avvenuti da queste popolazioni e osservare, nel dna, se la teoria corrisponde alla pratica. Ovvero: gli scienziati hanno messo insieme gli eventi di interbreeding di cui si hanno evidenze tra le popolazioni studiate e hanno cercato di capire se riuscivano a spiegare le caratteristiche genetiche osservate, riassume il New Scientist.

Per farlo gli incroci già noti non bastavano però: il quadro tornava ammettendo un altro evento di interbreeding, avvenuto tra gli antenati di neanderthal e denisova, dopo la separazione dal ramo che avrebbe portato agli uomini moderni, e un ominine superarcaico, lo stesso con cui poi gli stessi denisoviani si sarebbero accoppiati. Questo evento sarebbe avvenuto circa agli inizi del Pleistocene medio, circa 700 mila anni fa. Ma chi era questo ominine misterioso?

Un nuovo “misterioso” incrocio nella nostra storia evolutiva

Ammesso che i dati vengano confermati e che le cose siano andate esattamente così, è probabile che l’ominine misterioso lo sia davvero, ovvero sia ancora sconosciuto come ha spiegato al New Scientist Serena Tucci della Princeton University. Ma magari potrebbe essere una specie di cui abbiamo già sentito parlare e non così misteriosa, commenta Manzi: “Homo erectus è stato presente in Asia fino a poco tempo prima l’arrivo di Homo sapiens; la nostra specie, pur senza mai incontrare H. erectus, potrebbe averne ricevuto del materiale genetico attraverso una catena di ibridazioni che avrebbe coinvolto più direttamente i denisoviani e i neanderthal e l’antenato comune dei tre, cioè Homo heidelbergensis”.

Siamo (anche) figli di altre specie

Perché è così importante studiare gli incroci che sono avvenuti nel passato tra diverse specie di nostri antenati? I motivi sono diversi. “Queste mescolanze scritte nei nostri geni raccontano la nostra storia evolutiva, le nostre migrazioni, i nostri incroci e il nostro adattamento al clima, agli agenti patologici”, commenta Condemi. Per esempio: “Alcuni geni che ci vengono da queste popolazioni fossili sono dei geni che sono stati utili ai sapiens per sopravvivere in clima freddi e temperati cui lui, di origine africana, non era adattato”. Studiare questi incontri e scambi genetici, continua Condemi, in sostanza ci permette di capire la nostra storia e la nostra origine.

Ma la paleoantropologia non ci consente solo di capire meglio chi siamo, aggiungono Manzi e Benazzi. “La genetica ci consente di comprendere meglio la storia evolutiva in generale, portandoci a riflettere per esempio sul concetto di specie, ma soprattutto mostrandoci un esempio preistorico di come possano avvenire anche ibridazioni tra specie strettamente imparentate”, commenta Manzi. “Quando avevamo a disposizione solo i fossili, senza i dati genetici, l’evoluzione era vista come processo circoscritto, a blocchi. Con l’analisi del dna abbiamo avuto la conferma che non è così: l’evoluzione è più complicata di quanto credevamo”, conclude Benazzi.

Via: Wired.it

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