Nuovi indizi sul ruolo dei “batteri buoni” dell’intestino

di Grazia Battiato

Siamo fatti di acqua e batteri: nell’intestino ne ospitiamo quasi mille specie diverse. E oggi sappiamo qualcosa di più sulle molteplici funzioni di questi organismi. I cosiddetti “batteri buoni” – batteri non patogeni che costituiscono la flora intestinale – sono infatti in grado di produrre specifici segnali chimici che interagiscono con il nostro patrimonio genetico, e in particolare con alcuni geni coinvolti nella progressione di infiammazioni e tumori. A rivelarlo è uno studio condotto dal Babraham Institute di Cambridge in collaborazione con l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e i ricercatori brasiliani dell’UNIFESP di San Paolo, pubblicato a gennaio su Nature Communications.

Il lavoro, guidato da Patrick Varga-Weisz, mostra come durante la digestione di frutta e verdura si producano alcune molecole che comunicano con il DNA delle cellule intestinali. Queste molecole, una volta penetrate nelle cellule, riescono a modificarne il comportamento. “Lo studio fa parte di quei lavori che mostrano come l’ambiente esterno possa interferire nell’insorgenza e nello sviluppo dei tumori, e come lo stile di vita possa influenzare in maniera positiva lo sviluppo di alcune malattie”, dice Alessandro Cuomo, ricercatore dello IEO.

Le fibre assunte con la dieta, infatti, vengono digerite da parte dei “batteri buoni” presenti sulla membrana intestinale, “generando acidi grassi a catena corta, che a loro volta sono regolatori di enzimi”, spiega Tiziana Bonaldi, del dipartimento di Oncologia sperimentale dello IEO. L’enzima in questione è una proteina chiamata HDAC2 (istone deacetilasi 2) che svolge un ruolo importante nella regolazione dell’espressione genica, diminuendo la trascrizione e l’espressione di uno specifico gene e la sua concentrazione a livello cellulare è legata al rischio di tumori intestinali. Un concetto legato al settore dell’epigenetica.

Nello specifico, i ricercatori hanno sperimentato che topi privi di flora batterica intestinale – trattati con alte dosi di antibiotico – mostrano un aumento di HDAC2 a livello cellulare, mentre ricerche collaterali affermano che tale incremento può essere collegato ad un maggior rischio di cancro del colon-retto.

Per ridurre la concentrazione della proteina HDAC2 è sufficiente seguire un’alimentazione corretta, ricca di fibre, suggerisce lo studio. Queste, grazie all’intervento della flora batterica, bloccano l’espressione della proteina, proteggendo dalla comparsa di eventuali patologie o favorendone la guarigione. “Gli enzimi HDAC2 sono da anni il potenziale bersaglio per lo sviluppo di farmaci inibitori”, prosegue Bonaldi. “Ma in questo caso, sono le sostanze di origine naturale, rilasciate dai batteri non patogeni abitualmente presenti nell’organismo, a svolgere una funzione simile a quella di un inibitore chimico”. “In presenza di malattia – conclude Cuomo – molecole legate alle attività metaboliche naturali che vengono dalla digestione del cibo possono aiutarci a guarire”.

Riferimenti: Nature Communications

Articolo prodotto in collaborazione con il Master SGP di Sapienza Università di Roma

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