L’Oreopitheco, una scimmia bipede di 9 milioni di anni fa

Da una bacheca del Museo di geologia e paleontologia di Firenze alle pagine dei Proceeding of the National Academy of Science, una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo. L’Oreopithecus bambolii, un ominide vissuto solo in Italia circa 7-9 milioni di anni fa, ne ha fatto davvero molta di strada e per di più su due zampe. Sì, perché questa scimmia, contrariamente a tutti gli altri esemplari di scimmie antropomorfe finora studiati, camminava proprio come facciamo noi. Un fatto sorprendente che riapre ancora una volta un dibattito, peraltro mai sopito, sulle origini e l’evoluzione del bipedismo. Fino ad oggi infatti gli esperti ritenevano che questo tipo di andatura fosse una prerogativa esclusiva dell’Homo sapiens e del suo diretto antenato, l’Australopiteco. Ora lo studio condotto da Lorenzo Rook, ricercatore al dipartimento di scienze della terra dell’Università di Firenze, Luca Bondioli e Roberto Macchiarelli del Museo Pigorini di Roma e Meike Kohler e Salvador Moyà-Solà dell’Istituto di paleontologia di Sabadell in Spagna, rimette tutto in discussione.

Una scimmia bipede più antica di noi

A decretare la fortuna di questa scimmia, i cui fossili sono conservati fin dagli anni ‘50 nel museo toscano, è la struttura dell’anca. “Partendo dai frammenti ossei in nostro possesso, grazie ai raggi X e alla successiva elaborazione delle immagini eseguita da un computer, siamo riusciti a ricostruire virtualmente l’osso dell’anca dell’Oreopithecus”, spiega Rook, ” e in particolare la parte spugnosa interna”. È proprio qui, infatti, che si trovano le informazioni sui pesi a cui è sottoposta la struttura ossea.

Punto di snodo fra la parte superiore e quella inferiore del corpo, nei bipedi l’anca scarica l’intero peso del corpo sugli arti inferiori. “La struttura di questa parte dello scheletro dell’Oreopithecus è simile a quella dell’uomo e quindi possiamo sostenere che questa scimmia camminava abitualmente su due zampe”, continua il ricercatore fiorentino.

E con una presa di precisione

Già in passato lo stesso gruppo di ricercatori aveva condotto ricerche sui fossili conservati a Firenze evidenziando le loro peculiarità. “Non più tardi del gennaio scorso abbiamo dimostrato che anche la struttura della mano presentava delle caratteristiche molto interessanti: la perfetta opposizione del pollice con le altre dita, infatti, permetteva una presa estremamente precisa”.

Una scimmia italiana senza eredi

Ma chi era questa scimmia così particolare? Gli esperti la definiscono un esemplare endemico, che si è sviluppato cioè all’interno di un determinato territorio. “Nel Tardo Miocene”, spiega il ricercatore, “l’Italia centrale era una grande isola che si estendeva dalla Toscana all’odierna Sardegna caratterizzata da una fauna e una flora molto specifici di cui non si trova traccia in nessun altro posto”. La nostra scimmia era uno degli abitanti di questo particolare ecosistema e si nutriva di bacche, fiori e frutta. “Quando circa sei milioni di anni fa l’emergere delle terre ha riunito l’isola al continente europeo, proprio questa sua specificità non gli ha permesso di adattarsi alle nuove condizioni ambientali decretandone così l’estinzione”. Come dire che l’Oreopithecus non ha lasciato eredità.

“Lo studio di questa scimmia però è ugualmente molto interessante”, afferma il ricercatore italiano, “e potrebbe fornirci elementi importanti per capire quali siano state le condizioni ambientali e morfologiche che hanno portato al bipedismo, anche nel caso dei nostri progenitori”. Per questo lo stesso team di ricercatori ha in programma di proseguire lo studio di questo ecosistema, quest’isola esclusiva dove camminava indisturbato l’Oreopithecus.

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