Ambiente

Carbonio radioattivo nella fossa delle Marianne, l’ombra lunga dei test atomici

Il carbonio radioattivo rilasciato nell’atmosfera durante i test nucleari del secolo scorso inquina le zone più profonde dei nostri oceani. Una scomoda eredità della Guerra Fredda, che dimostra l’incredibile portata raggiunta dall’impatto ambientale della nostra specie. A rivelarlo è un nuovo studio pubblicato su Geophysical Research Letters, che descrive il ritrovamento di questi composti radioattivi nei tessuti muscolari dei crostacei che popolano le profondità degli oceani, compresa la zona forse più remota del nostro pianeta: la fossa delle Marianne.

Il carbonio radioattivo

I composto radioattivo in questione è il carbonio-14, un isotopo che viene creato naturalmente quando i raggi cosmici interagiscono con l’azoto nella nostra atmosfera. Ovviamente il carbonio-14 è molto più raro del normale carbonio, ma gli scienziati sono in grado di rilevarlo, e possono utilizzarlo, ad esempio, per stimare le età di reperti archeologici o geologici. Dagli anni ’50 e ’60 inoltre la quantità di carbonio-14 presente nella nostra atmosfera è praticamente raddoppiata, a causa delle interazioni tra i neutroni rilasciati durante i test per lo sviluppo di armi termonucleari effettuati agli inizi della guerra fredda, e l’azoto atmosferico.

In seguito, con la sospensione dei test, i livelli sono tornati a scendere, e negli anni 90 si sono stabilizzati su un valore superiore del 20% rispetto a quelli pre-test. Questo perché il carbonio-14 prodotto dalle esplosioni era stato assorbito dalla superficie degli oceani, dove gli organismi marini lo hanno utilizzato per decenni come componente delle proprie molecole.

Nei fondali oceanici

In che modo il carbonio 14 ha raggiunto le profondità dei nostri oceani? Come spiega la ricerca, questo processo è stato accelerato dalla catena alimentare marina: i resti degli organismi che vivono vicino alla superficie, infatti, tendono a scendere verso il fondale, dove diventano parte dell’alimentazione di altre specie.

“Nonostante la circolazione degli oceani impieghi centinaia di anni per portare l’acqua contaminata nelle fosse oceaniche più profonde, questo avviene molto più velocemente attraverso la catena alimentare,” spiega l’autore della ricerca Ning Wang, dell’Accademia cinese delle scienze.

Le tracce nei tessuti degli anfipodi

Durante la ricerca, Wang e il suo team hanno analizzato degli anfipodi, un ordine di crostacei, provenienti da fosse oceaniche tropicali della zona occidentale dell’oceano Pacifico. I ricercatori hanno osservato che i livelli di carbonio-14 presenti nei tessuti muscolari di questi esemplari erano molto più alti del previsto, simili ai livelli trovati in organismi che vivono vicino alla superficie. Questo perché la dieta degli anfipodi consiste principalmente nei resti di questi animali, che precipitano verso il fondo dell’oceano.

Le profondità degli oceani non sono dunque così isolate dall’attività umana: “Dal punto di vista biologico c’è una forte interazione tra la superficie e i fondali marini, e le attività degli esseri umani possono avere conseguenze anche a 11mila metri di profondità,” ha spiegato Weidong Sun, co-autore della ricerca. “Per questo in futuro dobbiamo prestare più attenzione al modo in cui ci comportiamo.”

Riferimenti: Geophysical Research Letters

Claudia De Luca

Dopo la laurea triennale in Fisica e Astrofisica alla Sapienza capisce che la vita da ricercatrice non fa per lei e decide di frequentare il Master in Giornalismo e Comunicazione della Scienza all'Università di Ferrara, per imparare a conciliare il suo amore per la scienza e la sua passione per la scrittura.

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