Categorie: SocietàVita

Come diventare immuni alle pubblicità

Volete assicurarvi che su di voi le pubblicità non facciano presa? Sgranocchiate qualcosa. L’efficacia di molti spot si basa infatti sulla ripetizione ossessiva del nome di un prodotto o di una marca, un trucco psicologico che induce il nostro cervello ad associare ad essi una sensazione positiva. Il meccanismo però non funzionerebbe quando gli spettatori hanno la bocca impegnata. A dimostrarlo sarebbe uno studio dell’Università di Colonia, pubblicato sulle pagine della rivista Journal of Consumer Psychology.

Per il cervello è più facile processare informazioni che vengono percepite ripetutamente. A livello psicologico questo genera la nascita di sensazioni positive e associate ai nomi che sentiamo pronunciare molto spesso. È un trucco ben noto ai pubblicitari, che quando lanciano un nuovo prodotto bombardano infatti i consumatori con i loro spot, consapevoli che, se anche la sovraesposizione iniziale potrebbe generare in alcuni individui un senso di antipatia, in un secondo momento questo si trasforma nella maggioranza dei casi in familiarità, e porta a preferire il prodotto a uno meno conosciuto.

In una serie di esperimenti precedenti, i ricercatori dell’Università di Colonia avevano dimostrato una caratteristica peculiare di questo fenomeno. Ogni volta che sentiamo il nome di una persona o di un prodotto, ne simuliamo inconsapevolmente la pronuncia con le labbra e la lingua, senza muovere però la bocca o emettere alcun suono. Si tratta di una sorta di discorso interno, in cui il cervello si allena a pronunciare il nuovo nome, che diventa quindi più familiare. Se però la bocca viene utilizzata ad un altro scopo, ad esempio masticando una gomma o degli snack, l’allenamento inconscio viene interrotto, e nessuna sensazione positiva viene associata al nome, anche dopo un ascolto ripetuto.

Nel nuovo studio i ricercatori hanno deciso di verificare la loro scoperta con una serie di esperimenti pratici. Un gruppo di volontari è stato invitato a vedere un film al cinema, prima del quale sono state mostrate loro delle pubblicità. Metà dei partecipanti all’ingresso nella sala ha ricevuto dei popcorn omaggio, ed era quindi intenta a masticarli mentre assisteva agli spot. Agli altri invece sono state date delle zollette di zucchero, e hanno quindi assistito agli spot senza avere la bocca occupata.

In un primo esperimento, una settimana dopo la visione del film a 96 dei partecipanti sono state mostrate delle immagini di prodotti commerciali, tra i quali comparivano anche quelle presenti negli spot visti al cinema. I ricercatori hanno quindi chiesto loro di indicare quali prodotti preferissero. Come nelle previsioni dei ricercatori, quelli che avevano assistito agli spot con la bocca libera hanno mostrato una chiara preferenza per i prodotti visti al cinema, mentre quelli del gruppo che aveva masticato i popcorn non avevano preferenze rilevanti.

Un secondo esperimento ha coinvolto invece altri 188 volontari, ai quali sono stati dei soldi ed è stato chiesto di acquistare un prodotto per la pelle e di fare una donazione ad un ente benefico, scegliendo tra sei diverse possibilità. Metà dei prodotti e degli enti benefici proposti erano stati inseriti nelle pubblicità viste al cinema. Anche in questo caso, i partecipanti che avevano ricevuto lo zucchero hanno mostrato una netta preferenza per i marchi a cui erano già stati esposti, mentre quelli che avevano assistito agli spot mangiando i popcorn non hanno dimostrato invece alcun tipo di preferenza.

“È bastato che i partecipanti mangiassero dei popcorn per renderli completamente immuni all’effetto delle pubblicità”, spiega Sasha Topolinski, primo autore dello studio. “I nostri risultati dimostrano che la vendita di snack nei cinema, ritenuta fino ad oggi una buona strategia di marketing, potrebbe in realtà diminuire l’efficacia degli spot pubblicitari”.

Riferimenti:  Journal of Consumer Psychology http://dx.doi.org/10.1016/j.jcps.2013.09.008

Credits immagine: charamelody/Flickr

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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