Ne abbiamo una percezione chiarissima, sapendo benissimo cosa intendiamo per prima, ora e domani, eppure stabilire dove abbia esattamente sede, neurologicamente parlando, il tempo, è difficile da dirsi. Anche perché studiarlo, separando la sua percezione da tutti sensi e dal comportamento, è complicato. Uno studio pubblicato su Current Biology sostiene però di aver individuato una zona nel cervello che tiene traccia dell’informazione tempo, e questa zona si troverebbe nello striato.
Tener traccia del tempo è un processo fondamentale della nostra vita. Basti pensare, raccontano gli scienziati guidati da Joe Paton del Learning Lab del Champalimaud Neuroscience Programme, all’esecuzione di un movimento semplice come il passaggio di un incrocio premendo il gas dopo che il semaforo diventa verde : non prima per non sprecare energia, non troppo dopo per non attardarsi e rischiare di arrivare tardi a un appuntamento.
Paton e colleghi hanno ipotizzato che nel tener traccia del tempo fosse coinvolta una regione del cervello: lo striato, anche perché in condizioni come il Parkinson e la Corea di Huntington, in cui sono presenti disfunzioni relative al tempo, questa è una delle aree colpite dalla malattia. Per capire in che modo lo striato fosse coinvolto nella percezione del tempo, gli scienziati hanno monitorato l’attività di alcuni neuroni di questa regione nel cervello di alcuni ratti alle prese con esercizi in cui fondamentale fosse la stima del tempo. I roditori infatti venivano allenati a premere una leva per ottenere una ricompensa, che veniva però data solo dopo un periodo di tempo dall’ultima ricevuta, variabile durante i diversi test. Premere la leva prima che quel tempo fosse passato significava sprecare energia, perché comportava non avere ricompensa, così come premere il gas mentre il semaforo è ancora rosso.
Analizzando l’attività registrata in quel gruppo di neuroni, i ricercatori hanno scoperto che il tempo veniva codificato in un modo specifico, come ha spiegato Sofia Soares, tra gli autori del paper: “Abbiamo scoperto che ogni volta che un esperimento iniziava, i neuroni rispondevano con un’onda lenta ma attendibile di attività sequenziale. Questa sequenza era conservata nei vari tempi di attesa degli esperimenti, ma cambiava temporizzazione. In altre parole, quando il tempo di attesa era più lungo, la sequenza era più lenta e viceversa. Quindi, la sequenza si restringeva e si espandeva in un modo che corrispondeva all’intervallo tra una ricompensa e l’altra e al comportamento dell’animale. Essenzialmente, si potrebbe guardare solo alle caratteristiche dell’onda di attivazione di questa popolazione di neuroni per capire quanto tempo era passato”, ha concluso la ricercatrice.
Via: Wired.it
Credits immagine: Pedro Cambra/Flickr CC