La coscienza è ovunque?

coscienza
(Foto: Jr Korpa on Unsplash)

In questo saggio (di non facile lettura) Christof Kock sviluppa le idee e i risultati della ricerca neurofisiologica iniziata fin dal secolo scorso in collaborazione con Francis Crick (premio Nobel insieme con J. Watson per la struttura del DNA), e sostenuta dalle moderne elaborazioni dell’eclettico neurofisiologo Giulio Tononi sulla IIT (Teoria della Informazione Integrata), indicata con la lettera greca Φ. Vale la pena ricordare che in questo contesto la parola /informazione/ viene usata col suo significato etimologico, cioè come capacità causale di mettere in- forma, o di dare forma, e non col significato convenzionalmente attribuitogli dalla teoria di Shannon.

La definizione di senso comune “La coscienza è esperienza” rappresenta il punto di partenza dell’argomentazione di Kock: questo implica che le esperienze sono gli unici aspetti della realtà di cui ciascuno è direttamente cosciente o consapevole. Ogni esperienza esiste di per sé, è strutturata, informativa, integrata nelle sue componenti, definita come contenuto. La coscienza può essere legata al pensiero, all’intelligenza e all’attenzione ma, come ben sanno i clinici davanti a casi di pazienti in stato vegetativo, può essere dissociata da tali operazioni cognitive.

In assenza di attenzione molti eventi passano inosservati sotto i nostri occhi e non ne siamo consapevoli – non ne facciamo esperienza, come, del resto, siamo assolutamente inconsapevoli della maggior parte delle funzioni svolte dal nostro cervello o di quello che avviene “dentro” mentre guardiamo “fuori”. I primi lavori di Crick e Koch (anni ’80 del secolo scorso) riguardavano proprio i correlati neurali della coscienza (NCC) e indagavano, cioè, su cosa succede nel cervello quando si fa una specifica esperienza: quali sinapsi, quali neuroni specificamente costitutivi di ciò che proviamo possono essere individuati sperimentalmente? Quali parti del sistema nervoso sono implicate? Sappiamo che il cervelletto non influisce minimamente sulla coscienza mentre l’integrità del tronco encefalico consente agli umani di sperimentare la vita in tutta le sue potenzialità esperienziali; viceversa, stimolando elettricamente la corteccia cerebrale posteriore, il neurochirurgo Wilder Penfield ha indotto in oltre mille pazienti risposte esperienziali ben definite. Ma, sostiene Koch, il materialismo e il fisicalismo che pretendono di analizzare singole cellule o singole molecole non permetteranno mai di trovare la sede dell’esperienza cosciente. La IIT (Teoria dell’Informazione Integrata), la potente creazione intellettuale di Tononi, permette invece di determinare (e calcolare) il modo in cui una rete neurale vincola causalmente i suoi stati passati e futuri e riesce a spiegare i poteri causali intrinseci dei sistemi implicati nella esperienza cosciente.

L’esperienza della differenza

Per possedere esistenza intrinseca, infatti, l’esperienza deve attivare “differenze che fanno differenze”: in altre parole, “per vedere un volto, lo stimolo visivo deve innescare un cambiamento che faccia la differenza nel sostrato neuronale che costituisce l’esperienza”. Senza questo cambiamento causale il volto non potrà essere avvertito. Perché qualcosa esista estrinsecamente – continua Koch – deve essere in grado di influenzare le cose e le cose devono essere in grado di influenzarlo. Un evento contribuisce all’esperienza solo se la sua informazione funziona come una causa capace di generare un effetto all’interno del sistema, altrimenti è causalmente impotente. Il sostrato fisico della coscienza, chiamato poeticamente Intero, è la parte essenziale di ogni sistema, formata da elementi “legati in una struttura di causa-effetto massimamente irriducibile”. Secondo la teoria, i correlati neurali della coscienza devono essere sia integrati tra loro per dare forma ad una esperienza unitaria, sia differenziati reciprocamente, per dare conto della varietà delle esperienze, e l’Intero, per i cervelli, corrisponde al al Φmax, cioè al massimo di informazione integrata del sistema.

Christof Kock

Sentirsi vivi. La natura soggettiva della coscienza

Raffaello Cortina , 2021

€25,00 pp. 309

Questo è forse il concetto più complesso dell’intera costruzione logica dell’IIT, ma offre l’importante possibilità di misurare matematicamente la coscienza attraverso il Φmax, proponendo un criterio più efficace di quelli normalmente usati con pazienti in situazioni di minima coscienza o locked-in. Soprattutto, la teoria apre la strada a predizioni sorprendenti come ad esempio la possibilità di collegare più cervelli per ottenere una informazione integrata Φ superiore a quella di un cervello singolo, raggiungendo le capacità di una super- mente. Alcuni capitoli sono dedicati a commentare le possibilità tecnologiche dei “cervelli” o delle strutture artificiali. Dissociando la coscienza dall’intelligenza, Kock presenta un grafico abbastanza provocatorio in cui a intelligenza crescente non corrisponde una coscienza crescente. E se l’essere umano può raggiungere valori massimi sia per l’intelligenza che per la coscienza, si vede che gli organoidi corticali prodotti dalle tecniche di laboratorio più aggiornate possono avere una Φmax elevata ma una intelligenza trascurabile.

Proseguendo su questa linea, avvicinandosi al confine tra la vita evoluta in carbonio e quella costruita in silicio, Koch sostiene che i computer potranno ben essere estremamente intelligenti e perfettamente addestrati ma non potranno mai avere esperienze coscienti: l’intelligenza riguarda il fare mentre l’esperienza riguarda l’essere. L’apprendimento automatico di un sistema artificiale si fonda su reti feedforward dotati di una struttura causale profondamente impoverita, assolutamente incapace di confrontarsi con la struttura ricca di causa-effetto che il computer vorrebbe invece imitare.

Se la coscienza è ubiquitaria

Prima della accurata serie di note e della ricca bibliografia, l’ultimo capitolo propone al lettore una domanda inquietante: la coscienza è ovunque? Non solo nei vertebrati superiori o negli insetti o finanche nei batteri ma anche nei vegetali, nell’intero universo? La IIT sostiene che qualsiasi cosa con un massimo di informazione integrata diverso da zero, e che ha poteri causali intrinseci, può provare esperienza. Può darsi che gli atomi stessi, formati da particelle, costituiscano un Intero irriducibile dotato di mente, con un Φmax diverso da zero. Sia pur piccolissimo, questo corrisponde ad una quantità di esperienza causale capace di generare differenze. Se si accetta questa possibilità, si può arrivare a pensare che il mentale non emerga improvvisamente dal mondo fisico ma che vi sia integrato da sempre, che non vi sia alcuna discontinuità tra mente e materia come, ai suoi tempi, pensava anche Darwin. Si torna, per nuove strade, ad una forma di panpsichismo che potrebbe indurre negli uomini un maggior rispetto per le strutture del mondo, vivente o non vivente, ad intuizioni rilevanti per il loro valor filosofico, scientifico ed etico. L’invito di Koch ad una etica universale verso tutte le creature che fanno, ciascuna a suo modo, esperienza della vita conclude il volume.

Credits immagine di copertina: Jr Korpa on Unsplash