In aperta polemica con molti famosi filosofi e neuroscienziati, Riccardo Manzotti, ingegnere e psicologo, oggi docente di Filosofia teoretica allo IULM di Milano, propone in un libro (La mente allargata. Perché la coscienza e il mondo sono la stessa cosa) la sua interpretazione del nostro (umano) fare esperienza di oggetti, sviluppando con una varietà di esempi la sua teoria della “mente allargata”. Leggendo il testo, tradotto dall’inglese da Allegra Panini, si capisce che bisogna districarsi tra problemi di linguaggio per essere sicuri di non interpretare male il pensiero dell’autore e di condividere il significato dei termini usati. Il testo non è certo di facile lettura, e sebbene le considerazioni essenziali vengano variamente riprese ed ampliate in molteplici contesti, le considerazioni a cui giunge l’autore lasciano spesso perplessi.
Gli oggetti come causa delle nostre esperienze
L’esperienza di un oggetto, spiega Manzotti, non è una immagine mentale situata all’interno del corpo o del cervello, né è emergente da processi interni al corpo. Gli oggetti, con la loro fisicità, sono come appaiono e hanno un ruolo causale: per poter essere percepiti devono esercitare la loro influenza sul nostro corpo. Dunque gli oggetti sono cause attive, fanno “succedere qualcosa” in noi e causano la nostra esperienza diventando parte di ciò che noi siamo. Sviluppando ancora questa idea, l’oggetto di cui abbiamo esperienza è relativo a noi e non esisterebbe se il nostro corpo non ci fosse. Percepire qualcosa è “essere quella cosa”, e i sensi sono quelle strutture che permettono agli oggetti esterni di aver luogo e a noi di coincidere con l’oggetto esperito.
Secondo l’ipotesi della mente allargata, non esiste una separazione tra esperienza e mondo, non esiste contrapposizione tra esperienza e realtà; piuttosto, c’è identità tra esperienza e oggetti così che l’esperienza di un oggetto si trova dove si trova l’oggetto che esperiamo. In conseguenza di tutto ciò, non esiste nulla che possiamo chiamare coscienza in quanto noi siamo fatti dagli oggetti che si pongono causalmente in relazione al nostro corpo. Cambia anche il concetto di persona, che non si limita alla presenza di un corpo fisico ma comprende l’insieme delle esperienze fatte, ed è composto dagli effetti causati dagli oggetti esperiti.
Il corpo come strumento per produrre effetti
L’esempio a cui Manzotti fa più volte riferimento è l’esperienza di una mela rossa su un tavolo: la intuizione chiave della sua teoria è che “la mela rossa che esperisco è identica alla mia esperienza della mela rossa”. Non c’è bisogno di ricorrere a stati mentali più o meno misteriosi, non c’è un mondo interiore: il corpo è la struttura intermedia che permette agli oggetti sperimentati di produrre effetti, qui ed ora. Ogni istante in cui guardiamo la mela, il frutto “accade” diventando parte della nostra esperienza; e noi vediamo ogni volta una successione di oggetti diversi. Anche quando guardiamo immagini sullo schermo abbiamo l’illusione di vedere oggetti persistenti mentre in realtà vediamo fotogrammi di una pellicola che scorre ad una certa velocità. Analogamente, quando la mela è davanti ai nostri occhi accade un processo fisico per cui un fascio di raggi luminosi si sposta più volte al secondo dalla mela alla retina, e la mela che percepiamo è una serie di mele rosse identiche. Così abbiamo esperienza di oggetti vicini, ma è possibile considerare un divario spazio temporale tra percezione e oggetto. Per esempio, guardando una costellazione vediamo ora la luce emessa da stelle lontane molti anni luce.
Guidato da questo esempio, Manzotti propone spiegazioni analoghe per la memoria, le allucinazioni, i sogni… che considera alla stregua di esperienze causali differite, “implementate da strutture neurali che permettono ad eventi passati di esercitare la loro influenza dopo intervalli di tempo arbitrari”. Ciò che chiamiamo passato, o allucinazione, o sogno, o ricordo è causato da sensazioni dilazionate, relative ad eventi talvolta ricombinati insieme in modi totalmente nuovi nello spazio e nel tempo, eventi che hanno messo, per raggiungerci, tempi diversi e hanno suscitato nel nostro presente immagini e sensazioni. “Possiamo vedere il passato in quanto il passato è ancora presente”.
La mente allargata per nuova visione dell’Universo
Riflettendo sulla dimensione temporale di ogni esperienza, Manzotti definisce il presente come “un colossale oggetto relativo esteso” da cui è impossibile uscire perché noi siamo il nostro presente. Non si può immaginare il presente come un punto su una linea del tempo perché ogni esperienza richiede cambiamenti causati da altri cambiamenti, e questi possono avvenire e svolgersi in relazione reciproca soltanto in tempi estesi. Senza tempo, ogni cosa risulterebbe separata dalle altre. Inoltre, la differenza tra presente e passato è soltanto pratica: la parte più facile da manipolare viene chiamata presente mentre tutto il resto viene chiamata passato. Resta valido il concetto di simultaneità con gli inevitabili richiami alla teoria della relatività. D’altra parte, pur appoggiandosi per alcune spiegazioni alle teorie einsteniane, la mente allargata offre una visione del mondo completamente nuova anche a proposito dell’Universo che, alle sue origini, non era diverso da quello che vediamo oggi, non oscuro ma pieno di luce, senza discontinuità tra fasi successive. Guardare l’universo e vedere se stessi è infatti il titolo dell’ultimo capitolo, dove si ribadiscono alcune delle idee sviluppate nel corso del volume.
Bibliografia e note esplicitano il contrasto o l’accordo di altri studiosi con le idee dell’autore; l’espressione “mente allargata” ha origine da discussioni dell’autore con lo scrittore e amico Tim Parks.
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