Dall’Aquila alle Marche, i terremoti sono uguali?

Maledetti Appennini. È alla loro irrequietezza che si deve la maggior parte dei terremoti che hanno scosso il nostro paese. La nostra spina dorsale, infatti, continua inesorabilmente a muoversi verso nord-est, spingendo la cosiddetta placca adriatica e contrastando il movimento opposto delle Dinaridi, dall’altro lato dell’Adriatico, diretto a sud-ovest. È parte di questa agitazione a provocare, tanto per citare solo i sismi più famosi e potenti, terremoti come quelli dell’Aquila (2009), Emilia-Romagna (2012) e Garfagnana (2013). Cui si aggiunge la scossa di magnitudo 5 avvertita ieri nelle Marche, che – essendo stata relativamente debole – non ha causato danni a persone e cose.

Salvatore Barba, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), spiega a Wired.it cosa sta avvenendo sotto la crosta terrestre: “Alla base di questi eventi sismici c’è lo stesso movimento di placca che genera faglie diverse in punti geograficamente diversi. In particolare, rileviamo che gli Appennini spingono verso nord-est e la catena montuosa delle Dinaridi si sposta verso sud-ovest. L’Adriatico si trova tra due processi orogeneticie solo una piccola zona al centro si ritrova libera dalla compressione”. Marche ed Emilia, dunque, si trovano a essere compresse tra queste spinte, mentre in Garfagnana e all’Aquila è avvenuto un fenomeno opposto, la cosiddetta estensione: “È come se avessimo una molla le cui estremità sono fissate”, spiega Barba. “Immaginiamo di tirare la molla in una direzione: una parte di essa sarà compressa [il versante adriatico dell’Italia, nda], l’altra sarà estesa [il versante tirrenico e quello a cavallo degli Appennini, nda]”.

Gli eventi sismici citati prima sono l’effetto di queste spinte. “Per fortuna”, continua Barba, la crosta terrestre non è elastica come una molla: è anche per questo che i terremoti sono poco prevedibili. Ma, d’altro canto, se lo fosse stata avremmo avuti molti più sismi. Al contrario, è molto plastica, e quindi non tutte le deformazioni diventano terremoti. Per la precisione, solo il 10% delle sollecitazioni compressive e il 50% di quelle estensive danno origini a sismi”. Allora è più probabile che avvengano terremoti sul versante tirrenico e a cavallo degli Appennini? Non è detto, perché in gioco ci sono anche altre variabili: “Sul versante tirrenico, la crosta terrestre è più sottile e ha temperature più alte. Quindi la sua rottura genera terremoti meno potenti, assieme ad altri fenomeni come vulcani, geotermia e termalità“, spiega ancora Barba. È da rimarcare, inoltre, che, nonostante il nesso causale, non c’è una relazione temporale tra il movimento delle placche e le scosse che si avvertono in superficie: Sappiamo come è legato il movimento delle placche a potenza e frequenza dei terremoti. E sappiamo che avverranno in prossimità delle faglie [qui la loro mappa, nda]. Ma non possiamo dire niente su quando avverranno”.

I terremoti, dunque, non si possono prevedere. Cosa che già sapevamo. Per scongiurare il più possibile vittime e danni, l’unica contromisura è allora un’attenta pianificazione urbanistica e strutturale degli edifici. In merito a questo si è espressa l’assessore regionale alla protezione civile delle Marche, Paola Giorgi, sostenendo che “non ci sono stati danni strutturali perché tutti gli immobili della zona del Conero, tra Ancona, Sirolo e Numana sono stati ristrutturati o edificati secondo criteri antisismici dopo il terremoto di Ancona del 1972”. Anche se, come sottolinea Barba, il sisma di ieri è stato relativamente debole e lontano dalla costa: “Difficilmente avrebbe potuto causare danni. Non si può dire con certezza che gli edifici siano antisismici basandosi solo sugli effetti di questo terremoto. La questione, piuttosto, dev’essere una presa di responsabilità degli enti locali”. Teniamo alta la guardia, insomma.

Via: Wired.it

Credits immagine: Database of Individual Seismogenic Sources/Ingv

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