Dipendenza ad alto rischio

Prima di tutto una notizia in parte confortante: anche se le emissioni di anidride carbonica (CO2) in Italia aumentano, lo fanno di poco e meno di quanto ci si aspettasse. Poi una triste realtà (che, tra l’altro, coincide con le vicende energetiche italiane delle ultime settimane): il nostro paese dipende in misura eccessiva da fonti straniere. Sono questi due dei punti che emergono dall’annuale “Rapporto Energia e Ambiente 2005” curato dall’Enea (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente). “Quello che spicca nel rapporto”, spiega Giuseppe Ferrari, responsabile Unità di Agenzia-Advisor dell’Enea, ” è che, tutto sommato, l’Italia è un paese virtuoso dal punto di vista ambientale. Se si completeranno le attuali politiche orientate alla drastica diminuzione delle emissioni di CO2 rientreremo negli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto”. Minori emissioni, quindi. Che però non significa minori consumi energetici. Nel rapporto, infatti, si legge che “nonostante la crescita modesta dei livelli di attività ed i valori relativamente elevati del costo dell’energia, uno scenario tendenziale del sistema energetico italiano mostra una tendenza di medio periodo ad un aumento costante dei consumi energetici (con una crescita media annuale leggermente superiore all’un per cento fino al 2020)”. In questo scenario diventa più preoccupante la situazione della nostra dipendenza energetica dall’estero che attualmente supera l’80 per cento.

Un problema non da poco se si pensa che nella media del 2004 il prezzo del greggio ha sfiorato i 38 dollari al barile, segnando un incremento di circa il 30 per cento rispetto al 2003. E nel 2005? La crescita non si è affatto arrestata e il prezzo del greggio ha superato i 70 dollari in settembre (intorno ai 60 dollari dovrebbe essere il prezzo medio nel 2006). Secondo il rapporto le cause di questa volatilità del prezzo del petrolio sono due. Prima: “Il mancato adeguamento della capacità degli impianti di raffinazione che servono i principali mercati Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ndr.)”; e poi: “Il perdurare della situazione di incertezza geopolitica in Medio Oriente e in altre aree di produzione di idrocarburi in Africa e America Latina”. “Questa instabilità dimostra che siamo notevolmente esposti e vulnerabili dal punto di vista economico. Finché la nostra bolletta petrolifera o del gas continuerà a salire, infatti, il primo a risentirne sarà il nostro Pil, ovvero la nostra ricchezza”, continua Ferrari.

Come se ne esce quindi? Gli autori del rapporto puntano su una forma più distribuita dell’energia sul territorio. In altre parole impianti di dimensioni inferiori che possano servire l’utenza piccola come quella residenziale. In questo modo il risparmio energetico sarebbe notevole e le emissioni minori. “Non si può poi pensare di produrre un chilo di spazzatura e andarlo a mettere nel giardino di qualcun altro”, dice Ferrari: “Occorre quindi usare le tecnologie che consentono la produzione di energia a partire dai nostri rifiuti. E puntare di più sulle alternative (nel 2004 l’utilizzo delle fonti rinnovabili è aumentato del 17,5 per cento rispetto al 2003, ndr.), in particolare fotovoltaico, biomasse, eolico. Il mercato delle alternative crescerà di pari passo con l’abbattimento dei costi. “Per quanto riguarda il fotovoltaico, per esempio, quando si passerà dalla cella al silicio a quella al filo sottile (soluzione che prevede l’utilizzo di un decimo del silicio a cui si ricorre nelle tecnologie tradizionali)”, spiega Ferrari. “E poi si dovranno incentivare collaborazioni aziendali a livello europeo, in modo che il mercato delle energie alternative si allarghi, con le nostre aziende che potrebbero andare a investire anche all’estero”.

Soluzioni, quelle delle fonti alternative, che però non possono soddisfare una grossa concentrazione di domanda energetica come nel caso delle industrie. Ecco perché gli autori del rapporto ritengono che prima o poi bisognerà riprendere in considerazione l’ipotesi nucleare. “Anche per un discorso di sicurezza energetica, tema che sarà al centro del prossimo G8. Le grandi concentrazioni di materie prime sono in paesi instabili politicamente”, conclude Ferrari.Ma la tesi del nucleare non convince tutti, in particolare gli ambientalisti. A qualche ora dalla presentazione del rapporto, infatti, Greenpeace contesta alcuni dati del documento.

“Secondo una tabella del rapporto, l’elettricità da nucleare costerebbe due centesimi di euro al chilowattora. È un’informazione del tutto infondata, e se diffusa tra i risparmiatori potrebbe indurli a credere che il nucleare sia un buon investimento”, commenta Pippo Onufrio, direttore delle campagne di Greenpeace. “Se il nucleare fosse così economico come si spiega che neipaesi in cui il mercato è stato liberalizzato da tempo, Stati Uniti e Gran Bretagna, gli investimenti privati languono e i governi pensano di sussidiare pesantemente il nucleare?”. In una nota l’associazione ambientalista dichiara infine “che le stime più ottimistiche del costo attualizzato del chilowattora, quelle elaborate nel 2005 dal Dipartimento Usa dell’energia, ci dicono infatti esattamente il contrario: il nucleare è la fonte più costosa, più del gas, del carbone e dell’eolico”.

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