Due gocce d’acqua

Il conto alla rovescia è iniziato. Dopo mesi di test approfonditi, il primo viaggio su Marte targato Europa sta finalmente per prendere avvio. Il prossimo 2 giugno, dalla base di Bajkonur, in Kazakistan, la sonda Mars Express dell’Agenzia spaziale europea (Esa) sarà lanciata alla volta del pianeta rosso, equipaggiata di un piccolo veicolo, il Beagle 2, che verso il prossimo Natale dovrebbe trasmettere il suo primo segnale dopo l’atterraggio sulla superficie marziana. La missione ha come obiettivo primario la ricerca di acqua o ghiaccio nel sottosuolo. Ricerca sul cui esito, naturalmente, c’è grande attesa. Intanto, però, novità su Marte giungono, a sorpresa, proprio dalla Terra. In un articolo pubblicato sulla rivista “Naturwissenschaften” due ricercatori, il geofisico tedesco Stephan Kempe dell’Università di Darmstadt e il paleobiologo polacco Józef Kazmierczak dell’Accademia delle Scienze di Varsavia, hanno infatti descritto la straordinaria corrispondenza tra le proprietà microscopiche di alcune rocce sommerse rinvenute sul lago Van, in Turchia, e le caratteristiche del più famoso marziano ospitato nel nostro pianeta, quel meteorite di nome ALH84001 su cui, da qualche anno, è aperto un intenso dibattito sulla possibile presenza di batteri fossili al suo interno. In altre parole, di antiche tracce di vita su Marte.Scoperto in Antartide, nel 1984, ALH84001 – che ha le dimensioni di una patata e pesa 1,9 chilogrammi – è stato identificato come meteorite marziano nel 1993. La sua vicenda comincia 4,5 miliardi di anni fa, con la cristallizzazione della roccia sulla superficie di Marte, quando il pianeta era ancora in via di formazione. Meno di un miliardo di anni dopo, la roccia fu fratturata dalla pioggia di meteoriti che colpì il pianeta. Successivamente, un fluido ricco probabilmente d’acqua filtrò tra le fratture, dentro le quali si vennero a formare minuscoli globuli di minerali carbonatici, simili a sfere appiattite e con un diametro non superiore ai 250 millesimi di millimetro. Nel contempo, lo stesso fluido depositò molecole di idrocarburi all’interno e nei pressi dei globuli. In seguito, ALH84001 fu espulso da Marte a causa di un secondo, violento bombardamento meteoritico. Per 16 milioni di anni la roccia vagò solitaria nello spazio, prima di precipitare in Antartide tredicimila anni fa.Il resto è storia ben più recente. Il 7 agosto 1996, un gruppo di scienziati guidati da David McKay del Johnson Space Center della Nasa suscita grande scalpore annunciando di aver trovato prove della presenza di microrganismi fossili dentro ALH84001. Potrebbe essere la tangibile testimonianza, secondo i ricercatori, che il pianeta rosso sia stato abitato in passato da esseri viventi, e che forse, addirittura, lo sia ancora. Ma non tutti sono d’accordo sulle ipotesi formulate da McKay e colleghi, e subito si innesca una vivace e appassionata polemica. Quella che viene considerata dal team di McKay come l’evidenza più forte del fatto che almeno residui di microrganismi vennero a contatto con ALH84001, quando la roccia si trovava ancora su Marte, è fornita dai globuli carbonatici. Microfotografie ad alta risoluzione mostrano che i globuli contengono corpuscoli ovoidali e tubiformi che potrebbero essere i resti fossilizzati di batteri. In questa visione, poi, gli idrocarburi tra i globuli sarebbero il prodotto della decomposizione di organismi viventi. La questione circa la presenza o meno di vita fossilizzata su ALH84001 è certamente ancora da dirimere, e ciò che hanno ora scoperto Kempe e Kazmierczak è sicuramente ulteriore materiale di discussione. I due hanno studiato accuratamente alcuni campioni di roccia vulcanica e di altre formazioni geologiche – chiamate pinnacoli calcarei – raccolti a pochi metri di profondità sotto la superficie del Van, il più grande lago alcalino del mondo. Il risultato? Rocce e pinnacoli contengono globuli carbonatici che in tutto e per tutto – da forma e dimensioni alle caratteristiche chimiche e mineralogiche – sono pressoché identici ai globuli di ALH84001: “Inoltre”, spiega a Galileo Kempe, “i globuli del Van esibiscono strutture analoghe a quelle che in ALH84001 sono state interpretate come microrganismi fissili”. Sulla natura di tali strutture, che saranno l’oggetto specifico di ulteriori indagini, Kempe e Kazmierczak non si sono pronunciati. Hanno invece avanzato alcune ipotesi inerenti all’origine dei carbonati. Una possibilità è che questi siano stati generati durante la decomposizione di particolari batteri; ma i ricercatori suggeriscono anche che i globuli possano essersi formati spontaneamente da processi inorganici. E se questo fosse vero, potrebbe calare un forte velo di dubbio sulle teorie favorevoli all’esistenza di tracce di vita dentro ALH84001. “Sebbene l’esatta modalità di formazione dei carbonati del Van rimanga un enigma”, sottolinea tuttavia Kempe, “la loro somiglianza con i globuli di ALH84001 indica che questi ultimi possono essersi formati in un ambiente simile, ma sulla giovane superficie marziana”. Marte come la Terra, dunque, in un remoto passato? “Molto probabilmente sì. Noi pensiamo”, risponde il geofisico, “che gli antichi oceani sulla Terra e su Marte avessero molto in comune. Entrambi devono essere stati alcalini”. Di fatto, le prove finora raccolte a sostegno della presenza di mari e oceani nelle prime epoche della storia del pianeta rosso sembrano abbondanti e convincenti. Ma dov’è finita allora quell’acqua? L’interrogativo rimane. Non resta, quindi, che salutare Mars Express e attendere, fiduciosi, il suo responso.

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