Esopianeti estremi: vicini alla Terra e con quattro soli

Cercando ai confini del Sistema Solare, un gruppo di astronomi coordinato da Xavier Dumusque dell’Università di Ginevra, in Svizzera, ha scovato un pianeta grande quanto la Terra in orbita attorno a una stella simile al Sole. La speranza di trovare vita extraterrestre si è subito spenta: il pianeta è così vicino alla sua stella da essere troppo caldo per poter contenere acqua liquida e quindi ospitare organismi viventi. Tuttavia, come spiegano i ricercatori nello studio pubblicato su Nature, non è escluso che attorno alla stessa stella orbitino altri pianeti potenzialmente adatti a ospitare la vita. E grazie ai progressi tecnologici, che ormai permettono di individuare corpi celesti sempre più piccoli, la ricerca promette nuove strabilianti scoperte.

Da quando gli astronomi hanno iniziato la caccia agli esopianeti, ne hanno individuati a centinaia. A rendere speciale il nuovo arrivato è il fatto che si tratta del primo pianeta con una massa pari a quella terrestre in orbita attorno a una stella simile al Sole. Il tutto a un passo da noi. La stella in questione, infatti, è Alpha Centauri B che, assieme ad Alpha Centauri A e Proxima Centauri, fa parte del sistema stellare più vicino al nostro (1,3 parsec, pari cioè a circa 4,4 anni luce). Alpha Centauri B è un po’ più piccola del Sole e un po’ più fredda, ma la sua vicinanza al pianeta (quasi 6 milioni di chilometri) sarebbe comunque sufficiente a far evaporare tutta l’acqua eventualmente presente. Questo il motivo per cui l’esopianeta, nonostante venga considerato il gemello della Terra, è stato classificato come non abitabile.

La scoperta è così sensazionale da richiedere cautela. Come sottolinea su Nature in un commento l’astronomo Artie Hatzes del Thuringian State Observatory citando Carl Sagan: “Ogni scoperta eccezionale necessita di prove eccezionali”. Non che l’equipe di Dumusque non abbia portato prove, solo che bisognerà verificarle con attenzione. Scoprire un esopianeta di massa piccola, infatti, non è impresa da poco. Per riuscirci bisogna basarsi su misurazioni indirette che descrivono gli effetti che il pianeta esercita sui corpi che lo circondano: più il pianeta è piccolo, più questi effetti sono lievi e quindi difficilmente misurabili. Per scovare il gemello terrestre e stimarne la massa, i ricercatori hanno studiato come la sua forza gravitazionale influisce sul movimento della stella ospite.

L’attrazione gravitazionale esercitata dal pianeta, infatti, porta la stella a tremare e la velocità del tremolio dipende dalla massa del pianeta stesso e dalla sua distanza. Per misurarla, i ricercatori si sono basati sulle variazioni dello spettro luminoso emesso dalla stella stessa, rilevate con lo spettrografo Harps montato sul telescopio dell’Osservatorio Europeo Australe in Cile.

Il compito è molto complesso anche perché la stella emette segnali causati dall’attività magnetica di alcune aree più fredde che possono interferire con i segnali emessi dal pianeta e quindi “sporcare” i dati. Insomma, i risultati degli astronomi passeranno sotto lo scrutinio della comunità scientifica, e solo quando sarà provata la loro precisione si potrà davvero parlare dell’esistenza di un gemello della Terra a un passo da noi.

Ma quella del team di Dumusque non è stata l’unica scoperta eccezionale in tema di esopianeti. Questa settimana infatti è stata anche la volta di Ph1, un pianeta – decisamente più lontano del nostro vicino della porta accanto, trovandosi a 5000 anni luce da qui e con un raggio circa sei volte quello terrestre – il cui cielo è illuminato da quattro soli, orbitando intorno a una coppia di stelle, attorno cui ruotano altre due stelle. Ma Ph1 non sembra per nulla disturbato (gravitazionalmente parlando) da così tanti soli, mostrando un’orbita piuttosto stabile.

Come scrive la Bbc si tratta del primo sistema del genere a essere scoperto, soprattutto grazie alle osservazioni di due astronomi amatoriali, compiute attraverso il Planethunters.org, il sito che, come suggerisce il nome, va a caccia di pianeti partendo dai dati pubblici acquisiti dal telescopio spaziale Kepler.

Via: Wired.it

Credits immagine: ESO/L. Calçada/N. Risinger (skysurvey.org)

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