In Alaska foche, otarie, leoni e lontre marine si sono drasticamente ridotti e consistente è anche la diminuzione delle alghe kelp. Un problema che ha radici lontane nel tempo. Vecchie addirittura di 50 anni. Lo sostiene Alan Springer, dell’Università dell’Alaska, impegnato da tempo nel monitoraggio di flora e fauna del nord Pacifico, sui Proceedings of the National Academy of Sciences. Secondo lo studioso la causa degli attuali squilibri è la caccia spietata alle balene condotta nel secondo dopoguerra. E il conseguente effetto domino. Dal 1946 al 1979 balene e capodogli sono stati vittime di una caccia indiscriminata. I predatori di queste specie per sopperire alla scarsità del cibo abituale avrebbero allora attaccato i mammiferi costieri, più piccoli ma presenti in abbondanza. Prima le più nutrienti foche e otarie, e i leoni marini anche se aggressivi, poi lontre marine meno appetibili, ma ancora numerose sarebbero divenuti l’obiettivo della caccia. Con effetti devastanti sull’ambiente. La biomassa di foche, otarie, leoni marini e lontre è decisamente inferiore a quella dei cetacei e queste specie non riescono a riprodursi a ritmi tali da conservare gli equilibri di popolamento. La significativa diminuzione delle lontre ha poi permesso il proliferare dei ricci di mare con conseguente strage di alghe kelp. Alla luce di questo excursus storico gli scienziati invitano a ripensare le strategie di salvaguardia ambientale e sottolineano la necessità di tutelare anche gli equilibri dinamici negli ecosistemi marini. (g.p.)