Categorie: Società

Formula 1: innovare sì, ma con cautela

Il mondiale di Formula 1 è appena iniziato, e come ogni anno le scuderie hanno presentato nuove macchine, sempre più veloci e, soprattutto, sempre più tecnologiche. Ma gli enormi sforzi fatti dai team nella ricerca di tecnologie innovative pagano davvero? Sembrerebbe di no: un nuovo studio di un gruppo di ricercatori coordinato da Paolo Aversa, della Cass Business School di Londra, ha infatti analizzato i risultati delle competizioni di Formula 1 degli ultimi 20 anni, scoprendo che la continua sperimentazione tecnologica può in realtà danneggiare la performance dei team. Secondo i ricercatori, questa è una indicazione importante per tutte le imprese che si trovano ad affrontare tempi di crisi e di incertezza, nei quali, dimostrerebbe lo studio, ostinarsi a sperimentare nuove soluzioni non è sempre la scelta migliore.

Il team di Aversa ha analizzato con strumenti statistici i risultati dei mondiali di Formula 1 disputati dal 1981 al 2010, alla ricerca dei fattori strategici che hanno influenzato maggiormente le possibilità di vittoria delle scuderie. Dai risultati è emerso che concentrarsi nell’adattare la tecnologia delle vetture ai cambi di regolamento è la scelta migliore, mentre esplorare nuove soluzioni tecnologiche può spesso essere penalizzante. Un fenomeno che emerge con particolare chiarezza negli anni in cui la Fia, Federazione Internazionale dell’Automobile, costringe le scuderie ad implementare cambiamenti radicali nella tecnologia delle macchine.

I ricercatori citano il caso della stagione 2009. In quell’anno Brawn GP e Red Bull, due team relativamente giovani e con poca esperienza, vinsero rispettivamente il primo e il secondo posto nel Campionato Costruttori, collezionando complessivamente 14 dei 17 podi del campionato. Il motivo di questi successi furono le macchine sviluppate dalle due squadre: vetture semplici e senza troppi “gingilli” tecnologici, ma al contempo veloci e, soprattutto, affidabili. Invece di investire nell’innovazione, i due team prestarono particolare attenzione alla ricerca di soluzioni per adattarsi ai significativi cambiamenti imposti quell’anno dal regolamento Fia, evitando in particolare il sistema del “kers” (Kinetic Energy Recovery System), che si rivelò in quell’anno ancora una tecnologia acerba e inaffidabile. 

Non sempre dunque puntare sull’innovazione è una scelta vincente, e non solo nel mondo della Formula 1: “Da un punto di vista più generale, il nostro studio suggerisce importanti implicazioni per le imprese che si trovano ad affrontare tempi di crisi e incertezza”, spiega Aversa. “I manager, infatti, spesso manifestano una tendenza eccessiva all’azione, e tendono a sovrastimare la relazione tra ricerca per l’innovazione e ritorni in termini di performance”.

In altre parole, in tutti i casi in cui ci si trova a competere in un ambiente incerto, che non permette di prevedere con precisione gli scenari futuri, ostinarsi a sperimentare nuove soluzioni non è sempre la scelta migliore. “In questi casi le organizzazioni dovrebbero concentrarsi sulle conoscenze che già posseggono e sfruttare la tecnologia già disponibile al meglio delle loro possibilità, cercando di adattarla a quello che l’ambiente competitivo richiede”, conclude Aversa.

Credits immagine: ingirogiro / Flickr

Simone Valesini

Giornalista scientifico a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. Laureato in Filosofia della Scienza, collabora con Wired, L'Espresso, Repubblica.it.

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  • Leggendo questo articolo, ho pensato Marchionne sia che un fautore di questa teoria; infatti viene spesso accusato di non innovare abbastanza, e mi pare sempre molto restio a investire su tecnologie molto innovative con ritorni incerti e su tempi lunghi.

    Mi pare una scelta di buon senso quella di muoversi con la dovuta cautela, perché ogni nuova tecnologia deve dimostrare sul campo sia i vantaggi effettivi che produce, sia la propria affidabilità.

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