Fuga d’acqua

La terra vista dallo spazio è un trionfo di blu e bianco, di oceani e di nubi. Sono i colori dell’acqua, alla quale l’uomo deve la sua sopravvivenza. Fin dalle scuole elementari impariamo che il famoso “ciclo dell’acqua” assicura la sua perenne presenza sulla Terra, in un eterno gioco di piogge e di vapori. Ma non è del tutto vero: non tutta l’acqua ritorna alla Terra. Secondo un gruppo di ricerca del Los Alamos National Laboratory una parte di essa abbandona a ritmo costante l’atmosfera terrestre, disperdendosi nello spazio.

E’ quanto riportato sull’ultimo numero della rivista Science: oltre 4000 litri d’acqua sfuggono ogni giorno alla Terra. Questo fenomeno era già stato teorizzato in passato, come conseguenza della normale evoluzione dell’atmosfera terrestre, e di ogni pianeta in generale, ma mai osservato direttamente.

L’acqua si disperderebbe nello spazio attraverso il vento polare, un flusso di particelle cariche che sfugge alla Terra e alla sua ionosfera, attraverso i poli, e che viene intrappolato dalle linee di forza del campo magnetico terrestre (la “magnetosfera”). Viaggiando lungo le linee di forza questo plasma dà origine a fenomeni spettacolari, come le aurore boreali.

Studiare direttamente la composizione del vento polare è stato fino a ora impossibile, a causa di interferenze elettriche fra i satelliti che trasportavano gli strumenti e il plasma. Oggi, grazie al satellite Polar nato da una collaborazione fra la Nasa, l’Esa e il Japanese Institute of Space and Aeronautical Science, si è superato il problema ed è stato possibile arrivare a questi straordinari risultati.

Quando l’acqua evapora e si disperde nell’atmosfera una parte di essa continua a salire, diventando parte del vento polare. Il Sole provvede poi a spezzare i legami della molecola e a trasformare il vapore acqueo in un gas ionizzato di idrogeno e ossigeno. Comincia così, spiraleggiando lungo le linee di forza del campo magnetico terrestre, il viaggio dell’acqua (o di ciò che era acqua) nella magnetosfera.

I dati raccolti indicano che i plasmi di idrogeno si muovono a velocità maggiori rispetto a quanto previsto dalla teoria, mentre i plasmi di ossigeno sono più caldi e più abbondanti. Sono necessarie altre osservazioni per comprendere il significato di queste misure, ma Beth Nordholt, del Los Alamos National Laboratory, è certa che il successo di Polar è di buon auspicio per progettare le missioni future.

A questo punto non resta che incorporare il contributo dei gas della ionosfera al vento polare nei modelli di evoluzione dell’atmosfera terrestre, e cercare di interpretare nel modo migliore i risultati. “Chiare, fresche, dolci acque…” recitava Petrarca. Teniamoci strette quelle che ci restano…

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