Categorie: Ambiente

Giù le mani da Serra Cicora

E’ una storia di fanta-edilizia, dove negli anni lo scenario non cambia. Si sposta semplicemente di qualche chilometro. Il paesaggio è sempre la macchia mediterranea e il mare incontaminato della costa ionica del Salento. I protagonisti sono la società Icos s.r.l. e le associazioni ambientaliste. Dopo il fallimento dei primi due tentativi, con ammirabile pervicacia la società proponente ha presentato un terzo progetto per la costruzione del porto turistico “Marina Torre Inserraglio” in località di Serra Cicora, nel comune di Nardò. Peccato però che debba affrontare una popolazione locale storicamente attiva nella difesa del proprio patrimonio culturale e naturalistico e stanca delle beffe dell’abusivismo edilizio locale. A partire dai primi di dicembre dello scorso anno, infatti, si è costituito il coordinamento “Salviamo Serra Cicora” – composto da associazioni ambientaliste, singoli cittadini e alcuni partiti politici – per fermare lo scempio ambientale della costa e proporre per la zona, in nome dello sviluppo sostenibile, un modello di turismo culturale. La vicenda di Serra Cicora ha avuto echi anche in Parlamento dove è stata presentata un’interrogazione. Il prossimo appuntamento è fissato per il 29 marzo, data in cui si svolgerà la Conferenza di Servizio. In quella sede Legambiente intende costituirsi parte civile. Galileo ha intervistato Stefania Ronzino, membro del circolo locale di “Arnò” dell’associazione ambientalista per avere un racconto diretto della vicenda.

Signora Ronzino, perché avete dato vita al comitato per la difesa di Serra Cicora?

“Il primo progetto presentato dalla Icos s.r.l. prevedeva la costruzione di questa struttura in una zona ora diventata parco marino. Nella seconda stesura l’area interessata era limitrofa, ovvero Torre Inserraglio, ma anche quell’ipotesi fu bloccata in seguito alla valutazione di impatto ambientale. Quando ci siamo visti rispuntare lo stesso progetto, in una zona adiacente al parco regionale di Porto Selvaggio, appunto Serra Cicora, abbiamo deciso di agire. In questa zona l’Università di Lecce ha effettuato importanti ritrovamenti archeologici. Il porto turistico avrebbe quindi sul lato destro un parco regionale, l’unico istituito in Puglia fino all’introduzione della legge 19 del 1989, di fronte il parco marino di Porto Cesareo, e non lontano la palude del Capitano, che sta per diventare un’area naturale protetta. Ma la stessa Serra Cicora oltre a essere un luogo di scavi archeologici, è anche un Sic, ovvero un ‘sito d’importanza comunitaria’ dove la Icos non fa mistero di voler realizzare una struttura che servirebbe il residence di Porto Inserraglio. Senza pensare che intorno a essa sorgerebbero altre strutture che snaturerebbero completamente il paesaggio. Per questo abbiamo creato il comitato per la difesa di Serra Cicora”.

Quanto è estesa l’area che riguarda il progetto?

“Sono sette ettari – e non il piccolo porticciolo come si racconta – sui quali si prevede un intervento aggressivo, che comporterà l’utilizzo di dinamite per far saltare la roccia. Inoltre la speculazione edilizia sta interessando anche il circondario di Serra Cicora. Qui sono state acquistate aree agricole da privati, allettandoli con offerte esorbitanti, fino a un centinaio di milioni a ettaro. Che i proprietari hanno accettato anche perché si tratta di terreni non fertili, anzi in alcuni casi di veri e propri pezzi di scoglio”.

Quali sono le specie protette che si trovano nella zona di Serra Cicora?

“Su questo punto il problema è controverso perché l’unica analisi floristica è stata fatta da un esperto interpellato dalla società proponente, Silvano Marchiori botanico all’Università di Lecce. La sua, quindi, è un’opinione di parte. L’analisi effettuata ha rilevato che esistono delle specie orchidacee tutelate dalla convenzione Cites (Convention on International Trade in Endangered Species), che pertanto non possono essere commerciate. E ha concluso che anche se il sito è importante dal punto di vista naturalistico, è consigliabile “un’aggressione al minimo”. Tuttavia nella zona sono presenti anche pezzi di macchia mediterranea e comunque si tratta di un’area sottoposta al vincolo paesaggistico dal piano regolatore. La Icos infatti ha dovuto richiedere una deroga”.

In che termini invece il progetto violerebbe la legge Galasso?

“Questo al momento è oggetto si studio. Come Associazione Legambiente abbiamo chiesto alla Regione di elaborare una valutazione di incidenza ambientale, necessaria ogni qualvolta si effettuano degli interventi in prossimità delle zone Sic. Noi ci affidiamo agli enti preposti a effettuare le valutazioni, come la Sovrintendenza dei beni culturali e la Regione, per avere una risposta qualificata in sede di Conferenza di Servizio, dove vogliamo essere presentiper poter far valere le nostre perplessità sul progetto”.

Quindi attualmente la costruzione del porto potrebbe essere bloccata da due diversi vincoli, quello archeologico e quello paesistico…

“Esattamente. Dal punto di vista paesistico le direttive comunitarie demandano alle regioni la valutazione d’incidenza ambientale. Teoricamente dovrebbe richiederla il comune o la stessa società proponente, ma il testo della direttiva consente anche al singolo cittadino, che è portatore di un interesse, di fare la richiesta. Così siamo stati noi a proporre la valutazione di incidenza ambientale del progetto. Il fatto che ancora non sia stato apposto il vincolo archeologico ci lega però le mani”.

Quali sono state le vostre iniziative?

“Legambiente ha chiesto alla Regione la valutazione di incidenza ambientale, il Comitato “Salviamo Serra Cicora” ha promosso una petizione popolare, raccogliendo più di 2000 firme e realizzato un sito Internet. Le adesioni all’iniziativa hanno superato le nostre aspettative. Poi abbiamo organizzato un convegno esplicativo nei confronti della cittadinanza facendo intervenire personaggi come Elettra Ingravallo, docente di Paletnologia all’Università di Lecce, che ha condotto gli scavi sul pianoro adiacente a Serra Cicora. E tutte quelle persone che conoscono il posto per averlo studiato e che possono dimostrare che bloccare il progetto non è una sterile isteria ambientalista ma è una reale necessità. Non possiamo distruggere l’unica risorsa che spinge un turista a venire in questa zona, altrimenti sarà un vero disastro per la nostra economia. D’altronde una struttura di sette ettari che dà soltanto dieci posti di lavoro, che, tra l’altro, sono stati promessi ai proprietari dei terreni circostanti, non basterà a risollevare il tasso di occupazione del Mezzogiorno. Il prossimo appuntamento importante rimane la Conferenza di servizio che si terrà il 29 marzo”.

Sarà in quell’occasione che porterete per la prima volta la vostra opinione davanti alle autorità locali?

“Sì, questo prevede l’iter amministrativo: il progetto è stato presentato alla Capitaneria di porto, per ottenere la concessione demaniale. Passato il periodo previsto in cui la richiesta deve rimanere affissa, gli atti vengono trasmessi al Comune secondo un procedimento automatico. Allora il Comune indice la Conferenza di servizio invitando le autorità interessate a presentare la loro opinione. E’ un procedimento che tende ad abbreviare i tempi perché tutti i pareri si acquisiscono in un’unica soluzione. Noi aspiriamo a essere presenti a quel tavolo con le nostre osservazioni. La nostra idea è di realizzare un turismo culturale. Per esempio creando un museo all’aperto per valorizzare l’intera zona archeologica che, tra l’altro, è inserita nell’ambito di un patrimonio naturalistico ingente. Basti pensare a quanto sarebbe allettante per un turista la prospettiva di andare in un luogo dove ci sono un parco regionale, un parco marino, un’area archeologica, uno accanto all’altro”.

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