Gorilla messaggeri di pace

Salvare i gorilla per costruire la pace nell’Africa centro-orientale dopo anni di guerre e massacri. E’ questo lo spirito di un’iniziativa congiunta dell’Esa, l’Agenzia Spaziale Europea, e dell’Unesco, la United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization, che prevede il monitoragio degli habitat a rischio dei grandi primati usando global positioning e dati satellitari. L’obiettivo primario è quello di aumentare il numero di aree protette dichiarate “patrimonio mondiale” (World Heritage) e di migliorarne il controllo assistendo direttamente le Nazioni di cui fanno parte. Quello finale è favorire il dialogo tra questi Paesi, che potrebbero trovare nella salvaguardia dell’ambiente e nell’ecoturismo una nuova risorsa economica.

La prima fase di test, che sta per partire e durerà di circa un anno, servirà a sperimentare le varie tecniche a disposizione e a vedere quelle che sono più adatte al monitoraggio ambientale. “Durante questa fase vogliamo capire cosa fare per portare le nuove tecnologie vicino a chi gestisce direttamente i siti World Heritage”, ci ha spiegato Luigi Fusco, Senior Advisor dell’Esa. “Bisogna anche dimensionare i costi e i finanziamenti necessari, in modo da avere le risorse per poi passare alla fase operativa”.

Le aree a rischio si concentrano nell’Africa centrale e in quella orientale. Alcune, come i parchi nazionali del Virunga e del Kahuzi Biega, in Congo, sono già state dichiarate siti World Heritage. Altre, come il Volcans National Park in Ruanda, sono tra i prossimi candidati. Queste zone costituiscono il principale habitat per le grandi scimmie, ma purtroppo sono minacciate da guerre civili e svariate attività di lucro e contrabbando che ostacolano iniziative di protezione ed espansione. Lo scorso anno un censo condotto dalla Wildlife Conservation Society denunciò un dimezzamento, dal 1997 al 2000, della popolazione di gorilla nel parco del Kahuzi Biega. Anni di guerra civile hanno reso il parco un campo di battaglia, con numerosi rifugiati insediati nelle aree che lo circondano. In cerca di cibo, le popolazioni locali distruggono le foreste di bambù, una delle principali fonti di cibo dei gorilla, e cacciano specie a rischio. Una nuova minaccia si è aggiunta negli ultimi anni: le miniere di coltano, una sostanza usata nella produzione di microprocessori e telefoni cellulari nonché nella medicina nucleare. Oltre a distruggere la flora e il paesaggio di queste aree protette, i minatori uccidono elefanti e gorilla per cibarsene.

Tuttavia non ci sono solo brutte notizie: l’ultimo censo condotto dall’International Gorilla Conservation Programme ha trovato che negli ultimi 10 anni c’è stata una flebile crescita del 10 per cento nella popolazione dei gorilla di montagna, nel parco del Virunga, nonostante la caccia di frodo, da parte soprattutto dei militari locali, non dia segni di diminuzione. Questo dato non allenta l’allarme per la salvezza dei grandi primati ma dà speranza e motivazione in future iniziative di salvaguardia. Una delle necessità più impellenti per portare avanti questi progetti è una maggiore informazione sul territorio: c’è bisogno di documentazione sullo stato degli habitat dei gorilla, non solo nelle aree protette ma anche al di fuori di esse, soprattutto per quanto riguarda le zone inaccessibili a causa dello stretto controllo militare. Da qui l’importanza di coadiuvare controlli sul territorio con dati accessibili via satellite. I recenti dati positivi sembrano indicare che i tempi sono maturi per una simile iniziativa: “Uno studio dell’habitat in questo momento potrebbe fornire preziose indicazioni per consolidare la popolazione dei gorilla di montagna dentro e fuori le aree protette”, ha dichiarato Natarajan Ishwaran, dell’Unesco World Heritage Centre.

L’ambizione dell’Unesco è non solo di proteggere i gorilla, ma anche, con questo scopo, di far collaborare tra di loro tre Paesi da anni in conflitto tra loro: è infatti proprio lungo le aree confinanti di Congo, Ruanda e Uganda che si trovano le aree più a rischio. “Numerosi studi”, prosegue Ishwaran, “mostrano che i gorilla hanno portato benefici economici significativi a queste regioni tramite attività di ecoturismo”. Dunque il monitoraggio è solo una parte del programma: il nodo cruciale è quello di informare e rieducare la gente a riconoscere il valore economico di questi animali più da vivi che da morti. “Abbiamo l’opportunità di usare l’iniziativa di conservazione dell’habitat dei gorilla per costruire pace e stima tra tre Paesi che fino a poco tempo fa erano in guerra”, conclude Ishwatar.

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