I segreti dello Stromboli

E’ situato nelle viscere del vulcano il motore che tiene sempre accesso lo Stromboli. E’ qui, a tre chilometri di profondità sotto la cima del cratere, che si formano i gas responsabili delle regolari esplosioni vulcaniche, che risalendo attraverso il magma giungono in superficie e scoppiano sollevando materiale fuso. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science, smentisce la teoria secondo la quale il comportamento dello Stromboli, caratterizzato da almeno 2.500 anni da esplosioni che si ripetono ogni 15-20 minuti e lancio di brandelli di lava fino a 200 metri d’altezza, sarebbe dovuto alla formazione di bolle di gas in superficie, a circa 200-300 metri di profondità. Lo studio è stato effettuato dal team composto da Mike Burton e Filippo Muré, dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) di Catania, Patrick Allard del Groupe des science de la terre in Francia e Alessandro La Spina, dottorando in geochimica all’Università di Palermo. E le sue ricadute per la difesa civile potrebbero essere grandi: monitorando costantemente questi gas e la loro composizione chimica è possibile, se non prevedere le eruzioni, mettere a punto dei modelli di comportamento dei vulcani e spiegare il perché alcuni sono particolarmente esplosivi.

Per giungere a queste conclusioni i ricercatori hanno utilizzato i dati raccolti da uno spettrometro a infrarossi, uno strumento in grado di misurare la composizione di gas emessi dalla sommità del vulcano da una distanza di sicurezza e a intervalli regolari di 4-5 secondi. “Le rilevazioni sono state effettuate tra le metà del 2000 e il settembre del 2002 e hanno riguardato sia i gas emessi durante le esplosioni che quelli tra un’esplosione e l’altra, quindi mentre il vulcano era in riposo. “Questi gas sono una miscela di acqua, anidride carbonica, zolfo, cloro e fluoro e la loro composizione chimica varia a seconda di come vengono trasportati in superficie”, spiega Mike Burton dell’Ingv di Catania: “Dal momento che le molecole reagiscono alle lunghezze d’onda della radiazione infrarossa, con lo spettrometro siamo riusciti a identificare e quantificare i gas emessi”. Risultato: quelli rilasciati durante le esplosioni sono risultati più carichi di CO2 rispetto a quelli emessi durante lo stato di riposo dello Stromboli. “Questo ci dice che il gas si è formato e ha accumulato pressione non a 200-300 metri di profondità, come hanno finora indicato le analisi geofisiche e sismiche, ma molto più giù, a 2-3 chilometri sotto il cratere”. Proprio queste bolle cariche di anidride carbonica risalgono velocemente attraverso il magma, e una volta in superficie, scoppiano generando spruzzi di materiale fuso.

La tecnica dello spettrometro a infrarossi potrà così permettere di comprendere meglio il comportamento dello Stromboli, che di tanto in tanto dà vita anche a esplosioni più violente del solito. Per questo la scoperta ha assunto una rilevanza sociale. Già nell’eruzione dello Stromboli del febbraio-aprile 2007, il sistema di rilevamento del flusso di anidride carbonica emesso dal vulcano, frutto di una collaborazione tra le sedi Ingv di Palermo e Catania, ha permesso di rilevare un segnale che indicava significative variazioni nel gas prima di un evento esplosivo di maggiore intensità. L’obiettivo è ora quello di migliorare il sistema di rilevamento, in modo da interpretare meglio i processi alla base del sistema vulcanico e disporre di un efficace sistema di pre-allarme. “Abbiamo avviato un progetto con la Protezione civile per l’installazione di uno spettrometro che effettui il monitoraggio permanente dei gas sulla cima del vulcano”, conclude Burton: “In teoria si tratta di un metodo che sarebbe utilizzabile anche per altri vulcani. Ma in pratica la cosa è più complicata. Pensiamo all’Etna e ai suoi tanti crateri: sarebbe molto difficile monitorare le emissioni di tutti”.

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