Il babbuino e la metafisica

Dorothy Cheney e Robert Seyfarth
Il babbuino e la metafisica. Evoluzione di una mente sociale
Zanichelli 2010, pp. 339, euro 24,00

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Se vi state chiedendo cosa diavolo c’entra il babbuino con la metafisica, provate a domandarlo a Darwin. Il padre dell’evoluzione scriveva nel 1838: “Colui che comprende il babbuino contribuirà alla metafisica più di Locke”. A quasi duecento anni di distanza la biologa Dorothy Cheney e lo psicologo Robert Seyfarth hanno raccolto la sfida e hanno seguito un gruppo di babbuini lungo il delta dell’Okavango, nel nord-ovest del Botswana, per scoprire se questi primati non umani potessero insegnarci qualcosa su concetti difficili come l’autocoscienza e l’autoconsapevolezza. Ne è scaturito un libro avvincente che, guidandoci nei meandri di un’organizzazione sociale complessa, ci fa scoprire qualcosa anche su noi umani. Con uno stile semplice e brillante, Cheney e Seyfarth presentano i risultati di ricerche ed esperimenti condotti direttamente sul campo, nell’habitat naturale dei babbuini. Qui le scimmie sono sottoposte a pressioni evolutive che i classici test di laboratorio non sono in grado di rilevare, e che si riassumono in due parole: predazione e competizione.

In Botswana i predatori più temibili per un babbuino sono i coccodrilli, seguiti subito dopo da leoni e leopardi. Quanto alla competizione, riguarda membri della stessa specie, e spesso anche dello stesso gruppo. Quella dei babbuini è una società fortemente gerarchizzata. Le femmine sono più conservatrici dei maschi: mantengono i propri ranghi per generazioni e generazioni, mentre i loro compagni li cambiano in continuazione. Del resto sono loro che escono di casa per trovare la propria partner. I gruppi sono dei matriarcati in cui le “donne” sono stabili e gli “uomini” degli immigrati. Per tentare la scalata sociale i nuovi arrivati possono ricorrere a mezzi molto crudeli, come uccidere gli ultimi nati nella speranza di agevolarsi la via all’accoppiamento e al successo riproduttivo. Ecco perché le neomamme entrano in uno stato di agitazione ogni volta che c’è una new entry. Per difendere i loro piccoli cercano tra i maschi del gruppo delle amicizie altolocate, che possano garantirgli protezione. Nascono così dei legami a lungo termine privi d’interessi sessuali. Per i babbuini, infatti, il sesso e l’amicizia sono due cose diverse, da non confondere insieme. I consorzi sessuali hanno breve durata, mentre le amicizie sono più stabili. Non c’è però da essere troppo sentimentali: i motivi che spingono le puerpere a cercare un compagno più duraturo sono infatti piuttosto opportunistici, e anche i maschi potrebbero essere motivati a concedere il loro appoggio dalla probabilità che i piccoli da difendere siano figli loro. Non è certo un caso se gli amici più ambiti sono i maschi che al momento del concepimento occupavano un alto rango, e avevano quindi più opportunità di accoppiarsi. Sono loro a diventare padri a tutti gli effetti dei cuccioli bisognosi di protezione, sono loro che li fanno giocare concedendogli di scivolargli sulla schiena, e sono loro che li difendono dalle minacce. Quando poi i cuccioli crescono, rimangono fedeli ai papà adottivi, mantenendo con loro un rapporto costante.

Anche le madri restano in contatto con i figli, o meglio, con le figlie perché i maschi sono destinati a migrare altrove. Le relazioni di parentela sono molto sentite dalle babbuine, che, come i loro compagni, sono in grado di distinguere non soltanto i gradi di parentela che li uniscono ai propri familiari, ma anche i rapporti che legano tra loro altri individui. In base a questa capacità le scimmie possono calcolare le loro mosse come le eroine dei romanzi di Jane Austen ed Edith Wharton, alle quali spesso gli autori le paragonano. E a ragion veduta. Per certi versi le affinità tra noi umani e questi primati non umani sono davvero sorprendenti. Le femmine, per esempio, in seguito alla perdita di un parente o di un amico, aumentano la produzione di glicocorticoidi, che sono gli ormoni dello stress: in pratica affrontano un periodo di lutto, durante il quale cercano di consolarsi stringendo nuove relazioni, o rafforzando quelle vecchie. Non è però soltanto nel campo dei sentimenti che i babbuini sembrano assomigliarci. E’ nelle strategie d’interazione sociale che le affinità diventano più eclatanti. Un esempio è la riconciliazione mediata da un parente, in cui due babbuini, in seguito a una lite, si riappacificano grazie alla mediazione di un familiare. Succede anche da noi. Per altri versi la società dei babbuini ha delle regole proprie, diverse, ma spesso non meno articolate e complesse, di quelle che governano i rapporti umani. Cheney e Seyfarth le hanno studiate con il rigore degli scienziati e l’entusiasmo dei naturalisti. Il loro libro farà discutere gli scienziati cognitivi e appassionerà i lettori.

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