Il gigante addormentato

Il Vesuvio torna a far parlare di sé. La rivista Science ha pubblicato lo scorso ottobre i risultati del progetto di Tomografia Sismica 2D (Bidimensionale) condotta nel maggio ‘94 dal CNR e dal Gruppo Nazionale di Vulcanologia. Il progetto era inteso come studio preliminare di fattibilità per la più vasta Tomografia Sismica Tridimensionale (Tomoves 3D) poi eseguita nel giugno ‘96 dalle stesse organizzazioni e dalla Protezione Civile. Si tratta dell’ultimo di una serie di studi messi a punto per conoscere la struttura geologica profonda del vulcano, allo scopo di prevedere, per quanto possibile, le sue future eruzioni. E ancora molto si dovrà fare per poter conoscere e prevenire i futuri risvegli di questo gigante addormentato.

La Tomografia Sismica

Il termine “tomografia” fu importato in sismologia dalla radiologia medica, assieme ad alcune tecniche matematiche, nei primi anni ‘80. L’analogia si fonda sul fatto che delle onde in medicina i raggi X, in sismologia le onde elastiche vengono trasmesse attraverso un oggetto. Tali onde vengono registrate da appositi sensori. Le registrazioni vengono analizzate matematicamente e forniscono informazioni sulla struttura interna dell’oggetto.

Nel caso del rilievo 2D del maggio ‘94, lungo una linea di 30 chilometri detta profilo sismico passante per il centro del Vesuvio, furono disposti a intervalli regolari 82 geofoni (sensori in grado di registrare le oscillazioni elastiche del terreno). Lungo lo stesso profilo furono fatte esplodere le tre cariche di tritolo. Gli scoppi producono onde elastiche che penetrano nel sottosuolo, vengono riflesse e rifratte dagli strati geologici e ritornano in superfice dove vengono registrate dai geofoni in forma di sismogramma.Questi 246 sismogrammi vennero analizzati insieme ad alcuni sismogrammi di microterremoti recenti, i cui epicentri erano localizzati a meno di 750 metri dal cratere.

I programmi di tomografia sismica, analizzando i sismogrammi inferiscono informazioni sulla velocità con cui le onde hanno attraversato il sottosuolo. Poiché la velocità delle onde sismiche varia a seconda dei tipi di roccia attraversati, è possibile fare deduzioni sulla geologia del sottosuolo. Ad esempio, le onde elastiche rallentano quando attraversano rocce permeate da fluidi: nel caso dei vulcani, le zone a bassa velocità possono indicare la presenza della camera magmatica -la zona sotto il vulcano dove si accumulano i magmi provenienti dagli strati profondi della Terra.

In realtà, la ricerca è notevolmente complessa. Le onde elastiche vengono riflesse e rifratte dai vari strati geologici e seguono percorsi molto complessi prima di arrivare ai geofoni che li registrano. Tali percorsi dipendono non solo dalla natura delle rocce ma anche dalla loro profondità, nonché dall’andamento, dallo spessore e dal numero degli strati che le compongono. Tutti dati sconosciuti, che sono proprio l’oggetto della ricerca.

Inoltre, lo stesso tipo di roccia può dar luogo a diverse velocità a seconda della profondità cui è situata, della sua porosità, della presenza di fluidi (magmi, ma anche acqua). La tomografia sismica permette un sofisticato approccio computerizzato alla soluzione del problema. La superfice bidimensionale verticale che contiene il profilo sismico viene divisa in un reticolato, fitto a piacere. Un modello preliminare delle velocità , basato su quanto è già noto della geologia dell’area e su ipotesi ragionevoli, serve da input in prima approssimazione. Il programma di Tomografia segmenta quindi nelle celle del reticolo un primo possibile percorso e calcola dei tempi di arrivo delle onde: questi tempi vengono confrontati con quelli osservati sui sismogrammi.Le velocità del modello vengono poi variate in successive iterazioni del programma, per minimizzare la differenza coi tempi osservati. Il risultato finale è un nuovo modello di velocità delle onde, che è quindi possibile interpretare geologicamente.

I primi risultati della Tomografia 2D

Cosa suggerisce ai vulcanologi il nuovo modello 2D del Vesuvio? Intanto la presenza di un basamento di rocce carbonatiche Mesozoiche tra 2 e 3 chilometri di profondità. Poi la possibile esistenza di una zona a bassa velocità a circa 10 chilometri di profondità che potrebbe rappresentare una zona di fusione magmatica. Si apre, anche, un grosso punto interrogativo. Contrariamente ad alcuni dati petrologici, sinora comunemente accettati, non sembra esserci al momento evidenza di una camera magmatica a 4 chilometri di profondità, a meno che essa non sia di diametro inferiore ai 500 metri. Inoltre, gli scienziati hanno ora disponibile un nuovo, attendibile modello preliminare per l’analisi dei dati del Tomoves 3D, che è un’estensione in tre dimensioni della medesima tecnica ed è perciò più potente. I risultati del Tomoves 3D verranno pubblicati nel ‘97. Gli obiettivi del 3D sono appunto l’ubicazione e le dimensioni della camera magmatica e, più in generale, una dettagliata ricostruzione del sistema di alimentazione del Vesuvio. Queste conoscenze sono fondamentali per la formulazione di modelli di previsione delle sue eruzioni future.

Eruzioni catastrofiche

Il Vesuvio è l’unico vulcano attivo dell’Europa continentale ed ha una storia poco rassicurante. E’ un vulcano caratterizzato da eruzioni miste di tipo sia esplosivo che effusivo (lenta emissione di lava). Esso si trova in un’area di grande mobilità tettonica, tra il bacino del Tirreno, in espansione, e l’Appennino, due zone interessate dai movimenti di convergenza tra la zolla litosferica euroasiatica e quella africana. E’ questo scontro tra zolle il responsabile ultimo dell’attività vulcanica del Vesuvio.I suoi cicli di attività sono abbastanza conosciuti, perché documentati dalla geologia dell’area e, per i tempi piu’ recenti, dalla storia. Sono state individuate otto eruzioni di tipo pliniano da quella, incerta, detta di Codola, circa 25.000 anni fa, fino all’ultima, quella di Pompei, del 79 d.C.. Vengono definite “pliniane” le eruzioni esplosive catastrofiche determinate dall’effusione di magma frammentato, ricco di acqua.

Un tale magma, con la diminuzione di pressione dovuta alla risalita verso la superfice, forma una miscela col vapore. L’espansione di quest’ultimo fa raggiungere alla miscela una velocità di centinaia di metri al secondo. Un vero e proprio jet fuoriesce dalla bocca del cratere, formando la cosiddetta “colonna pliniana”, che può raggiungere quote di 50 chilometri e durare per ore. Essa trascina con sé frammenti di magma, cenere, porzioni del condotto vulcanico e del cratere, che ricadranno a varie distanze. Se poi, per l’ampliarsi della bocca eruttiva (crollo del cratere) o per altre cause, la colonna pliniana collassa su se stessa, si formano i cosiddetti “flussi piroclastici”: valanghe roventi di materiale eruttivo e gas a temperature anche superiori agli 800° centigradi, che precipitano per gravità lungo i fianchi del vulcano a velocità elevate (fino a 100 metri al secondo), percorrendo distanze anche dell’ordine dei chilometri.Fu un flusso piroclastico a seppellire Pompei ed Ercolano.

Oltre alle grandi eruzioni pliniane, del Vesuvio si conoscono anche un certo numero di eruzioni sub-pliniane, come quella del 1631, che distrusse Torre del Greco con un flusso piroclastico, causando la morte di 4000 persone. Le eruzioni sub-pliniane sono, in pratica, delle pliniane ad energia minore. Ad esempio, le eruzioni pliniane del Vesuvio hanno mediamente eruttato una quantità di magma dell’ordine dei chilometri cubici, mentre per quelle sub-pliniane si arriva a quantità dell’ordine del decimo di chilometro cubo. Analogamente, gli intervalli di tempo tra le pliniane sono dell’ordine delle migliaia o svariate centinaia di anni, mentre tra le sub-pliniane intercorrono periodi di centinaia d’anni.

Un’attività vulcanica ciclica

Entrambi questi tipi di eruzione segnano l’inizio di fasi secolari di attività intensa, ma ad energia minore.

La vita del Vesuvio infatti sembra caratterizzata da cicli in cui una forte eruzione iniziale libera il condotto vulcanico ( che connette la camera magmatica al cratere) dal tappo di lava consolidata che si era formato alla fine del ciclo precedente. Si apre quindi un periodo a “condotto aperto”, durante il quale il magma – che si suppone alimenti, dagli strati profondi della Terra, la camera magmatica con un flusso costante nei secoli – trova una via di uscita senza accumulare grandi pressioni. Questo ciclo si chiude con il collassamento e il crollo del condotto, e con la formazione di un vero e proprio tappo lavico.

Segue un periodo di quiescenza, durante il quale il magma, trovando il condotto bloccato, accumula pressione nelle camera magmatica e nel condotto di risalita, fino alla successiva eruzione esplosiva. La fase iniziata con l’eruzione sub-pliniana del 1631 sembra essersi conclusa con l’eruzione del 1944, ed e’ ben documentata. Molti furono i suoi testimoni, anche illustri. Lord Hamilton, ambasciatore di Sua Maestà Britannica alla corte di Napoli, descrisse con scrupolo scientifico alla Royal Society di Londra le eruzioni dal 1756 al 1794. Goethe ritrasse su tela il Vesuvio in eruzione. L’abate Stoppani e altri studiosi locali lasciarono dettagliate descrizioni naturalistiche. E infine, nel 1841 – per volere di Ferdinando II di Borbone – venne costruito sulle pendici del vulcano l’Osservatorio Vesuviano, il primo al mondo nel suo genere.

La quantità di informazioni ci consente oggi di suddividere questa fase di attività “a condotto aperto” in 18 cicli minori, abbastanza regolari. Questi “sottocicli” iniziano con un’attività fumarolica, seguita dall’innalzamento del fondo del cratere e dall’effusione lenta di lave (che puà durare anche mesi).

Il ciclo minore si chiude con una eruzione esplosiva od effusiva – di potenza sempre minore a quella che ha segnato l’inizio della fase principale – che svuotando il condotto ne provoca il crollo. Segue un periodo di riposo che dura alcuni anni, il tempo necessario al magma per riaprirsi una via nel condotto collassato. Durante la Seconda Guerra Mondiale alcuni piloti inglesi bombardarono il cratere del Vesuvio, sperando ingenuamente di causarne l’eruzione. Ovviamente, il vulcano non reagì. Fu solo nel ‘44, quando Napoli era in mano agli Alleati, che il Vesuvio eruttò per l’ultima volta, apparentemente chiudendo un ciclo durato tre secoli. Da allora il vulcano è in quiete, il suo condotto di alimentazione ostruito, il cratere tappato da lava consolidata per uno spessore di circa tre chilometri.

La vigilanza dei geofisici

Ingenuamente, si potrebbe sperare che questa quiete sia l’inizio di una fase d’estinzione. Purtroppo, come abbiamo appena visto, la storia del Vesuvio è caratterizzata da lunghi periodi di quiescenza, che non indicano affatto la cessazione dell’attività eruttiva. Inoltre, le reti di monitoraggio installate sul vulcano rilevano una dinamica in atto, anche se non intensa. Il vulcano dorme. Fortunantamente altrettanto non fa la comunità scientifica: il progetto Tomoves 3D è solo una delle iniziative in corso.

Un’intensa attività viene svolta anche dall’Osservatorio Vesuviano, che è all’avanguardia quanto a metodi e tecniche utilizzate. Numerosi dati geofisici e geochimici vengono rilevati dalle reti strumentali, allo scopo di individuare eventuali fenomeni premonitori di un’eruzione. Innanzitutto viene monitorata l’attività sismica del vulcano, dovuta al movimento di fluidi magmatici nel condotto e alle fratture nelle rocce circostanti indotte da quel movimento. In secondo luogo vengono osservate le eventuali deformazioni del suolo, un’altro segnale associato all’attività vulcanica. Infine viene condotta l’analisi geochimica delle fumarole, delle emissioni gassose e delle acque sorgive, che può indicare una variazione nella presenza di sostanze chimiche provenienti dal magma. Certamente, però, nessuno di questi parametri fisico-chimici è ancora in grado di fornire la previsione temporale di un evento eruttivo. Quello che manca ancora è un modello fisico certo della struttura profonda del vulcano e del suo sistema di alimentazione. Ed è proprio in questa direzione che va intensificata la ricerca di base, di cui il progetto Tomoves 3D fa parte.

E’ bene, tuttavia, non alimentare illusioni. Anche migliorando la conoscenza della struttura profonda del Vesuvio, non sarà facile prevedere un’eruzione. E’ la scala temporale e spaziale propria del fenomeno vulcanico, la sua non-linearità, che rende incerta la previsione temporale. Forse sarà possibile elaborare previsioni sul lungo periodo. Ma sicuramente non si sarà in grado di fornire alla Protezione Civile una data ed un’ora in cui iniziare l’evacuazione della popolazione. Senza considerare che evacuare un’area così densamente popolata rimane un’impresa ciclopica.

La prevenzione del rischio vulcanico

Come per i terremoti, l’individuazione delle aree a rischio e la prevenzione urbanistica e architettonica sono le strade da percorrere per ridurre il rischio naturale. Anche in questa direzione la comunità scientifica ha fatto notevoli progressi. Attualmente esistono diverse simulazioni al computer sui potenziali effetti di una eruzione del Vesuvio.

Uno di questi studi, pubblicato dal vulcanologo Franco Barberi ora sottosegretario alla Protezione Civile e altri sulla rivista Nature nel ‘90, parte dal presupposto che l’attività ciclica del Vesuvio sia la conseguenza di un afflusso quasi costante di magma ad una camera magmatica situata tra i 3 e i 5 chilometri di profondità. La quantità di magma accumulatosi dal 1944 al 1990 provocherebbe un’eruzione di entità inferiore solo a quella del 1631. La simulazione al computer, combinata all’analisi del regime dei venti della regione, fornisce la zonazione del rischio per ricaduta di materiale eruttivo. Un altro studio, di Flavio Dobran e altri, pubblicato su Nature nel ‘94, ha tentato di determinare il rischio che deriverebbe da flussi piroclastici per tre differenti tipi di eruzione. Il risultato – spaventoso – è che eruzioni di tipo pliniano e sub-pliniano porterebbero alla distruzione completa di un’area di 7 chilometri di raggio attorno al Vesuvio, in soli 15 minuti. In quell’area risiede all’incirca un milione di persone. Ovviamente anche questi modelli potranno aumentare la loro precisione grazie ai nuovi dati sulla struttura profonda del Vesuvio forniti dal Tomoves 3D.

In definitiva, gli scienziati sono concordi nel considerare il Vesuvio come il piu’ pericoloso rischio naturale d’Europa. Sarebbe necessario promuovere fin da ora uno sforzo organizzativo che riunisca, attorno alla Protezione Civile, le amministrazioni locali, urbanisti, medici e scienziati per pianificare la riduzione del rischio di un’eruzione. I livelli su cui agire dovrebbero essere diversi: l’introduzione e l’implementazione di nuovi criteri costruttivi, l’arresto dell’abusivismo edilizio, l’istruzione e l’esercitazione della popolazione, la costruzione di rifugi.Non sappiamo come e quando il Vesuvio si risveglierà: in ogni caso sarà bene non farsi cogliere impreparati.

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