Il Mediterraneo ha sete

Il Mediterraneo è a secco. Le precipitazioni si fanno scarse, circa il 20 per cento in meno degli anni precedenti, e i corsi d’acqua già ne pagano le conseguenze con una riduzione che per alcuni è stata superiore del 20 per cento rispetto alle precipitazione nell’ultimo secolo. Colpa soprattutto dei mutamenti climatici e dell’aumento delle temperature, che fanno presagire estati secche sempre più frequenti, e più lunghe di qualche settimana in Italia meridionale, nella regione del Peloponneso in Grecia, nel sud della Penisola Iberica e in Marocco.

Ma le cause della siccità non sono tutte naturali. Nel rapporto «Drought in the Mediterranean – WWF policy proposals», presentato il 13 luglio, il Wwf punta il dito sull’irrigazione e sulle norme europee e nazionali che la sostengono: la politica dei sussidi nei paesi dell’Unione Europea, infatti, alimenta coltivazioni non adatte ai nostri climi, che ‘bevono’ tanta acqua, mentre nei paesi non Ue ne vengono sprecate grandi quantità a causa della bassa efficienza dei sistemi di irrigazione. Spulciando nel rapporto, si scopre che la siccità ha colpito più del doppio delle aree rispetto agli anni Settanta. Nel 2005 è toccato a Spagna e Portogallo ed entro il 2006 anche ampie porzioni di territorio in Italia e Francia dovranno fare i conti con lunghi periodi di mancanza d’acqua. A farne le spese soprattutto l’economia: la siccità che colpì l’Europa nel 2003 provocò perdite per 11 milioni di euro, mentre il Portogallo l’anno scorso ha visto svanire circa il 60 per cento della sua produzione di grano e l’80 per cento della produzione di mais. Non è andata meglio alla Spagna, le cui perdite nel settore dell’agricoltura e nell’allevamento sono di circa 2-3 miliardi di euro.

Ma i danni vanno ben oltre le tasche. La siccità provoca una maggiore concentrazione di sostanze inquinanti e quindi peggiore qualità delle acque e a lungo andare anche perdita di biodiversità.Se le piogge sono scarse, la domanda d’acqua nel Mediterraneo negli ultimi 50 anni è raddoppiata, raggiungendo quota 290 miliardi di metri cubi all’anno, e si prevede un ulteriore aumento dei consumi del 25 per cento entro il 2025 nei paesi delle coste est e sud del Mediterraneo, in particolare Egitto, Turchia e Siria. Come mai? Secondo il Wwf è l’agricoltura, con una media del 65 per cento (48 per cento nel nord, 82 nel sud) la più grande “divoratrice” d’acqua. Le aree irrigate sono raddoppiate negli ultimi 40 anni, passando dagli 11 milioni di ettari del 1961 ai 20,5 del 2000. Il più grande incremento assoluto si è registrato in Turchia (3,2 milioni di ha) e in Spagna (1,7 milioni di ha). Colpa soprattutto delle inadeguate politiche portate avanti dai singoli Stati. I sussidi dell’Ue, con il Common Agricultural Policy (Cap), e dei governi nazionali, infatti, hanno finito per provocare l’abbandono di colture meno esigenti di acqua, come ulivo e agrumi, favorendo invece coltivazioni irrigue come il mais e la barbabietola da zucchero. Lo stesso fenomeno accade nei paesi non Ue, dove i sussidi nazionali stimolano l’agricoltura intensiva che consuma una grande quantità d’acqua, come accade in Marocco con il riso. L’irrigazione non è limitata ai mesi estivi ma è continua e serve per far crescere le colture più velocemente e con una taglia maggiore anche in zone aride e in periodi di siccità.

Oltre a questo, nei paesi non Ue, la siccità è aggravata da metodi di irrigazione inefficienti. Ma non finisce qui. Un grosso problema in diversi paesi sono i furti d’acqua. I dati parlano di oltre 500 mila pozzi illegali in Spagna, che estraggono 3600 hm3 d’acqua all’anno provvedendo all’irrigazione di un sesto delle aree coltivate, circa 1 milione e mezzo in Italia (300 mila in Puglia) e metà dei 50 mila esistenti nel bacino del Konya, in Turchia. Per venire incontro alla crescente sete d’acqua, i governi costruiscono dighe nella speranza di costituire delle riserve e deviano le acque da bacini ricchi ad aree povere e secche. Ma secondo il Wwf, si tratta di soluzioni che peggiorano solo la qualità delle acque e non servono a perseguire una politica di lungo periodo.Che fare allora per evitare il collasso? Conservare i bacini di acqua dolce, assicurandone una corretta gestione, aumentando l’efficienza dell’uso dell’acqua e bilanciandone l’allocazione tra tutti. In poche parole, una gestione sostenibile e integrata della risorsa facendo riferimento alla direttiva europea acque (Water Framework Directive, Wfd). Che proprio nel nostro paese, però, è disattesa. Non abbiamo un’autorità riconosciuta che si occupi della politica dell’acqua distribuendo in modo sostenibile la risorsa, spiega il Wwf, che ha presentato un reclamo alla Commissione Europea, e soprattutto alle nostre Autorità di bacino e di distretto non viene riconosciuto il ruolo previsto dalla direttiva.

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