Il Nobel per la chimica ai recettori cellulari

Per godersi l’aroma e il sapore di una tazza di caffè, e anche il suo effetto eccitante; per rispondere a uno stimolo di paura e sentire gli effetti di una scarica di adrenalina: un battito cardiaco più forte, un metabolismo più attivo, un respiro più rapido. E ancora, per reagire a uno stimolo ambientale. Per far sì che tutto questo accada serve un’azione combinata dei milioni di cellule che costituiscono il nostro corpo, possibile solo grazie ai sensori dislocati sulla loro superficie e al loro interno. Lo studio di alcuni di questi sensori, i recettori accoppiati a proteine G, è valso oggi il Nobel per la chimica a Robert J. Lefkowitz, dell’ Howard Hughes Medical Institute e della Duke University, e a Brian K. Kobilka dellaStanford University School of Medicine

La storia di questo Nobel comincia negli anni ’60 con gli studi relativi alla risposta alla paura, e quindi allo stimolo dell’ adrenalina. Quando si prova uno spavento, infatti, questo neurotrasmettitore (e ormone) provoca una risposta nell’organismo, senza però entrare nelle cellule ma agendo attraverso un mediatore: un recettore. Quale è stato a lungo un mistero che i biologi e i chimici del Ventesimo secolo hanno cercato di risolvere. 

Il primo a fare un passo nella giusta direzione è stato proprio Lefkowitz nel 1968. Con il suo team di ricerca, lo scienziato ha usato ormoni marcati con isotopi radioattivi per riuscire a visualizzare questi recettori in loco, sulla cellula. Tra quelli che lo studioso ha individuato in questo modo c’era anche quello per l’adrenalina, chiamato recettore β-adrenergico (oggi si sa che i recettori per l’adrenalina si dividono in α, di cui esistono due sottotipi, e β, con tre sottotipi). Lefkowitz e il suo team hanno cominciato subito a lavorare per cercare di capirne conformazione e funzionamento. 

La svolta è arrivata all’inizio degli anni ’80, quando Kobilka si è unito alle ricerche e ha isolato il gene che codifica per questo recettore. Ma non solo. Il suo lavoro ha portato infatti a una grandissima scoperta: il recettore dell’adrenalina è solo uno di una nutrita e complessa famiglia di sensori che si legano a numerosi neurotrasmettitori (dalla dopamina alla serotonina, dall’ acetilcolina all’ istamina, ma anche oppioidi cannabinoidi). Recettori capaci di mediare la risposta della cellula e dell’organismo a queste sostanze e più in generale agli stimoli esterni che essi codificano. 

Tutti questi sensori si chiamano recettori accoppiati alle proteine G a causa del loro meccanismo di funzionamento. Sono molecole cosiddette transmembrana, ovvero proteine che attraversano il doppio strato di lipidi che forma la membrana cellulare e che hanno porzioni che sporgono da essa sia all’esterno sia all’interno della cellula. Quando un neurotrasmettitore come l’adrenalina arriva nello spazio extracellulare si lega a uno di questi prolungamenti provocando un profondo cambiamento nella conformazione della proteina, soprattutto nelle porzioni che sporgono all’interno della cellula. Questo cambiamento infatti, rende disponibili, ovvero libera, alcuni siti di legame che vengono immediatamente occupati dalle proteine G. Questo legame dà inizio a una cascata di segnali che attivano i processi chimici e biologici di risposta della cellula. 

Oggi questa classe di recettori è studiata nel dettaglio – se ne conosce il meccanismo di funzionamento e la struttura a livello atomico – e soprattutto da essa dipende il funzionamento di quasi oltre la metà dei farmaci sul mercato.

Via: Wired.it

Credits immagine: Dcirovic/Wikipedia

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