Infertilità, attenti all’inquinamento

Si chiamano interferenti endocrini (Ie), e sono molecole in grado di alterare l’equilibrio ormonale dell’organismo: composti perfluorati (Pfc), policlorobifenili (Pcb), ftalati. Pericolosi perché potrebbero mettere in pericolo la fertilità umana. In Italia sono ora disponibili i primi dati sui potenziali effetti di questi inquinanti ai danni della salute riproduttiva. Il merito è del Progetto Previeni, uno studio congiunto tra Istituto Superiore di Sanità (Iss), Sapienza Università di Roma, Università di Siena e Wwf, presentato il 26 maggio nell’ambito della giornata tra scienza salute e ambiente.

L’iniziativa, promossa e finanziata dal Ministero dell’Ambiente, consiste in una ricerca triennale sulla diffusione nell’ambiente degli interferenti endocrini, molti dei quali sono tuttora utilizzati nella realizzazione di tessuti, pentole, giocattoli di plastica, vernici, pesticidi e altri prodotti industriali. La pericolosità di queste molecole è dovuta al loro continuo rilascio in natura: infatti non si degradano e, con il passare degli anni, tendono ad accumularsi negli organismi viventi, compresi piante e animali impiegati nell’alimentazione umana, esponendo così uomini donne e bambini ad alte concentrazioni.

L’analisi dei legami tra Ie e salute riproduttiva è stata condotta dall’Iss in collaborazione con l’azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma. Nella capitale, sono state reclutate 50 coppie con problemi di infertilità e 10 coppie di controllo. Tutti i volontari si sono sottoposti a una serie di test per valutare la presenza nell’organismo di un composto a base di fluoro (Pfos) e di uno ftalato (Mehp) nel sangue. I primi risultati hanno rivelato che, nelle coppie infertili, la concentrazione delle due sostanze incriminate era 5 volte superiore rispetto a quella dei controlli. A subire i potenziali effetti negativi degli interferenti endocrini sarebbero, poi, soprattutto le donne, in cui sono stati riscontrati valori più alti che negli uomini.

I dati sono ancora preliminari, avvertono i responsabili dello studio, e non permettono di ancora tracciare una diretta correlazione tra Ie e insorgenza di infertilità. Il compito dell’indagine resta, infatti, quello di mettere in guardia sugli effetti nocivi a lungo termine – ancora poco conosciuti – provocati dall’inquinamento ambientale. Il prossimo passo potrebbe essere quello di estendere il monitoraggio al di fuori del contesto metropolitano di Roma.

In verità, sulla lista delle cittadine candidate a co-partecipare al progetto c’erano anche Massa, Ferrara e alcuni paesi del litorale Pontino: tre aree caratterizzate da stili di vita e livelli di inquinamento ambientale molto differenti tra loro. Purtroppo, qui i dati non sono stati ancora raccolti: troppe le difficoltà riscontrate nel coordinare tutte le realtà da coinvolgere. Nonostante tutto, per veder cambiare qualcosa c’è tempo fino a novembre, in occasione del convegno in cui si discuterà dei risultati complessivi del Progetto Previeni.

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