Intestino e cervello, una strana coppia. Sembrerebbe, ma così non è: l’intestino è difatti un secondo cervello nel corpo umano. Non solo è dotato di una fitta rete nervosa ma le sue cellule “parlano la stessa lingua” dei neuroni, e la usano, per esempio, per segnalare al cervello, nell’arco di alcuni minuti, la necessità di mangiare o di bere. Ma non è tutto. Tra i due cervelli esisterebbe una vera e propria linea rossa: un canale di comunicazione diretto e istantaneo, per scambiare informazioni nell’arco di millisecondi. A svelarlo è uno studio pubblicato su Science, che racconta una storia più complessa, suggerendo la possibilità di nuovi trattamenti per i disturbi alimentari o psichici, per esempio, la depressione.
L’intestino è dotato di una fitta rete nervosa e si stima che nelle pareti interne del tratto gastrointestinale ci siano più di cento milioni di cellule nervose, praticamente un altro cervello dentro la pancia. Sappiamo da decenni che la comunicazione tra intestino e cervello avviene tramite mediatori chimici – gli ormoni – che, immessi nella circolazione sanguigna, nell’arco di alcuni minuti raggiungono il cervello. Ne sono esempio la sensazione di nausea che si può provare prima di un esame e il torpore mentale dopo un pasto abbondante. Sappiamo anche che un intervento farmacologico sul cervello, come l’assunzione di antidepressivi, può produrre effetti a livello intestinale con nausea e vomito. Allo stesso tempo, diverse malattie intestinali e, in particolare la sindrome del colon irritabile, sono associate a disturbi di ansia e depressione.
Secondo lo studio condotto da Diego Bohórquez e dal suo team della Duke University School of Medicine a Durham, negli Stati Uniti, la rete nervosa intestinale avrebbe anche una connessione più diretta e rapida con il cervello. Una sorta di linea rossa che consente all’intestino di comunicare con il cervello nell’arco di pochi millisecondi attraverso sinapsi tra le cellule enteroendocrine e i neuroni del nervo vago. “Questi segnali viaggiano ad una velocità maggiore di quella degli ormoni che dall’intestino raggiungono il cervello attraverso il flusso sanguigno”, dice Bohórquez.
Nel 2015, il gruppo di Bohórquez aveva pubblicato uno studio sulla rivista Journal of Clinical Investigation che individuava nelle cellule enteroendocrine protrusioni simili a quelle che i neuroni usano per comunicare tra loro. Una circostanza, questa, che suggeriva il loro coinvolgimento in qualche tipo di circuito neurale. Le cellule sensoriali intestinali, ipotizzarono i ricercatori, potrebbero inviare i segnali elettrici attraverso il nervo vago, che corre dall’intestino fino alla base del cervello.
Per testare questa ipotesi, Bohórquez e colleghi hanno iniettato nei topi un virus della rabbia fluorescente, sfruttandone la proprietà di risalire attraverso le connessioni nervose. Grazie alla fluorescenza del virus, hanno quindi osservato la connessione diretta tra le cellule enteroendocrine e i neuroni vagali.
Questa connessione è stata confermata dalla formazione, in una co-coltura in vitro, di connessioni sinaptiche tra neuroni e cellule intestinali. La velocità di connessione – riporta lo studio su Science – aumentava se veniva aggiunto D-glucosio ed era dell’ordine delle decine di millisecondi, una scala temporale tipica della trasmissione sinaptica piuttosto che della segnalazione ormonale.
Nella coltura in vitro, i ricercatori hanno scoperto che le cellule enteroendocrine attivano i neuroni sensoriali vagali attraverso il rilascio di glutammato, lo stesso neurotrasmettitore coinvolto nell’olfatto e nel gusto, usato dalle cellule ciliate dell’orecchio interno e dai fotorecettori retinici. Infatti, bloccando i canali ionici glutammato-dipendenti e, quindi, il rilascio di glutammato dalle cellule sensoriali dell’intestino, le connessioni sinaptiche si interrompevano.
Nel cervello, il glutammato media funzioni diverse, anche quelle legate alla sensazione di piacere. Il piacere suscitato da un pezzo di cioccolata o dal nostro cibo preferito, dunque, potrebbe derivare dalla stimolazione immediata di questo circuito. Il glutammato è il neurotrasmettitore più antico e conservato nell’evoluzione, presente in tutti i sistemi nervosi primitivi degli invertebrati più antichi e perfino nel Trichoplax, specie priva di un sistema nervoso comparsa circa 600 milioni di anni fa. La struttura e la funzione di questo circuito sono probabilmente simili nell’essere umano.
“Gli scienziati parlano di appetito in termini di minuti o ore. Qui stiamo parlando di secondi”, spiega Bohórquez. “Questo ha profonde implicazioni per la nostra comprensione del rapporto tra intestino e cervello e dei meccanismi dell’appetito. Molti dei soppressori dell’appetito che sono stati sviluppati hanno come bersaglio ormoni ad azione lenta, non sinapsi ad azione rapida. Ed è probabilmente questo il motivo per il quale molti di loro falliscono”.
“Il prossimo obiettivo – aggiunge il ricercatore- è quello di capire se questa comunicazione intestino-cervello può fornire al cervello informazioni sul tipo di nutrienti e sul valore calorico del cibo che mangiamo”. La scoperta potrebbe portare a ricadute non da poco: nuovi trattamenti per l’obesità, disturbi alimentari e persino nuove terapie contro la depressione.
Riferimenti: Science
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