Italia chiama Venere

Dati come se piovesse: dalla sonda Venus Express, lanciata nel 2005 dall’Agenzia spaziale Europea (Esa), arriva un flusso di informazioni che riaccende i riflettori sul secondo pianeta del Sistema Solare. Ben nove articoli sono stati pubblicati di recente su Nature, di cui due a firma italiana: per la prima volta sono stati studiati nel dettaglio la struttura e i movimenti dell’atmosfera in corrispondenza del Polo Sud e i fenomeni di fluorescenza e fosforescenza ad alta quota. In particolare, è stato osservato un immenso doppio vortice che si estende per circa 2.700 chilometri, una struttura simile a quella già osservata sul polo opposto. Ma questo non è che l’inizio.

Dalle immagini di Virtis (Visibile and Infrared Thermal Imaging Spectrometer), lo spettrometro a infrarosso realizzato dall’Istituto di astrofisica spaziale e fisica cosmica (Inaf-Iasf) e dalla società Galileo Avionica per conto dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), i ricercatori stanno tracciando la mappa termica della superficie del pianeta, alla ricerca di anomalie che potrebbero indicare la presenza di fenomeni vulcanici in atto.

L’atmosfera di Venere, costituita per il 97 per cento da anidride carbonica, raggiunge i 450 gradi centigradi, la pressione è 90 volte superiore a quella terrestre, i venti soffiano fino a 400 chilometri orari e le spesse nubi di acido solforico riflettono la radiazione solare. A causa di questo effetto-schermo, la superficie del pianeta non è visibile alle lunghezze d’onda percettibili dall’occhio umano. Attraversare l’atmosfera è però abbastanza impegnativo dal punto di vista tecnologico: le navicelle, seppure superano lo strato corrosivo delle nubi, tendono a implodere per via della pressione. Le condizioni proibitive del pianeta sono note dai tempi della russa Venera, la prima sonda interplanetaria inviata su un altro pianeta del Sistema Solare, oltre venti anni fa. Poche sonde sono arrivate fin sulla superficie (di cui abbiamo alcune foto) e l’ultima missione prima di Venus Express è stata quella della sonda Magellano, nei primi anni Novanta. Le informazioni di cui disponiamo circa la topografia sono di fatto quelle ottenute grazie alla tecnologia radar di quasi due decenni fa. Poi il pianeta è stato dimenticato.

Quello che ora i ricercatori hanno osservato grazie a Virtis, sono le emissioni nello spettro dell’infrarosso. Esistono infatti delle “finestre atmosferiche”, microscopici ‘fori’ che permettono l’entrata e l’uscita solo di determinate lunghezze d’onda della luce. La loro grandezza è dell’ordine di un micron: “In queste finestre l’atmosfera di Venere si comporta come un gas trasparente. E con gli spettrometri riusciamo a vedere la superficie”, spiega Giuseppe Piccioni, capo progetto di Virtis. Al momento i ricercatori stanno eseguendo uno studio molto dettagliato delle temperature, oltre che un’analisi, seppur limitata, di tipo mineralogico. “Abbiamo coperto diverse volte tutto il pianeta nell’emisfero sud”, continua il ricercatore, “ma questo non basta. Ora stiamo correlando i nuovi dati termici con quelli altimetrici raccolti da Magellano”.

Il discorso è molto simile a quello che si può fare per il nostro pianeta: se di ogni zona conosco l’altitudine, in un certo senso, so anche che temperatura aspettarmi: in pianura, per esempio, deve essere più caldo che non a tremila metri. “Stiamo effettuando delle comparazioni in maniera sistematica: se la temperatura che andiamo a misurare per ciascun punto è molto diversa da quella che ci aspettiamo, allora ci viene il sospetto che sia una zona con anomalie termiche o con vulcanismo”, riferisce Piccioni. L’ipotesi va poi confermata correlando i dati con concentrazioni atipiche di composti tipicamente vulcanici, come ossido di carbonio, zolfo o acqua. Identificare i minerali è invece molto più complesso perché le finestre dell’atmosfera di Venere sono molto poche: “Di fatto possiamo usare solo due o tre colori diversi per capire, in base alla differenza di temperatura, che tipo di materiale sia. Siamo veramente ancora indietro su questo fronte”, conclude Piccioni.

Risultati si sono avuti invece per la circolazione atmosferica, con la mappa termica tridimensionale del vortice perenne sul Polo Sud. Il Pioner Venus della Nasa aveva osservato una formazione simile sull’emisfero nord: per qualche motivo, quindi, la circolazione atmosferica del pianeta è simmetrica. I vortici sono un meccanismo di equilibrio: il motore primario è sempre il Sole, che tende a scaldare l’aria (in questo caso l’anidride carbonica) soprattutto nella zona equatoriale; il gas diviene in conseguenza meno denso (più leggero), tende a salire verso l’alto e a spostarsi dall’equatore al polo: “Tutta questa massa che si muove si ricombina attraverso il vortice, che funziona come una sorta di ‘scarico’ e riporta la CO2 all’equatore”, spiegano gli autori. Il fenomeno scenografico è però la formazione (non perenne questa) di un dipolo: due vortici, molto distanti tra loro, che si muovono indipendentemente e che rendono la struttura complessa e variabile nel tempo. Il vortice di per sé non è però una struttura atipica: è possibile osservarli su diversi pianeti del sistema solare, Terra compresa. Ed esiste anche un Club dei vortici.

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