Ci conviviamo da circa diecimila anni, durante i quali abbiamo provato a cambiarne i connotati senza neanche realmente conoscerli: sono i maiali, animali con una lunga storia di addomesticamento e incroci, il cui genoma è stato svelato ora da uno studio pubblicato su Nature dell’International Swine Genome Sequencing Consortium, coordianto dagli scienziati delle Università dell’Illinois, di Wageningen e di Edinburgo.
La ricerca – che ha analizzato il patrimonio genetico del maiale domestico della razza Duroc (specie Sus scrofa) confrontandolo con quello di maiali selvatici e domestici, europei ed asiatici – aveva due obiettivi fondamentali: studiare il modo in cui i suini si sono evoluti nel tempo, ma soprattutto accumulare dei dati che permettessero di migliorare la conoscenza dell’animale, così da potenziarne la resistenza alle malattie e il suo impiego come modello per le ricerche biomediche (oggi infatti vengono utilizzati per gli studi sull’Alzheimer e sul cancro, per esempio, ma sono importanti anche per la medicina dei trapianti). Gli scienziati inoltre non hanno confrontato il codice genetico della razza Duroc non solo con parenti vicini, ma anche con specie evolutivamente più distanti, quali topo, il cane, il cavallo, la mucca ed esseri umani, per scoprire se esistessero e quali fossero i caratteri in comune.
E di tratti in comune ne esistono. I ricercatori hanno infatti scoperto numerose varianti geniche associate, nell’essere umano, a una lunga lista di patologie: obesità, diabete, dislessia, e persino malattie come il Parkinson e l’Alzheimer, a conferma di come il maiale possa rappresentare un modello ideale per lo studio di malattie che colpiscono la nostra specie.
Gli scienziati sottolineano inoltre che alcuni geni si sono evoluti più rapidamente: in particolare quelli dedicati alle risposte immunitarie dell’organismo e all’olfatto (alquanto numerosi), che nei maiali è particolarmente sviluppato (sotto ottimi cercatori di tartufo, per esempio). Questo però non ha sorpreso i ricercatori, che anzi hanno confermato l’importanza di questo senso in una specie in cui il gusto invece non risulta essere molto sviluppato. Forse, sarebbe stato proprio il loro essere di bocca buona a favorirne la domesticazione, perché mangiavano cose sgradevoli per la specie umana. Aiutati, forse, da un ridotto numero di geni associati al gusto amaro, come hanno evidenziato gli scienziati.
Da un punto di vista evolutivo, invece, i risultati suggeriscono che il primo antenato del maiale domestico sarebbe vissuto nel sud-est asiatico tra i 5 e i 3 milioni di anni fa, per poi essersi esteso alle regioni euroasiatiche. La separazione tra gli esemplari europei e asiatici sarebbe avvenuta invece circa un milione di anni fa, dando origine all’accumulo di una varietà genetica talmente ampia che Lawrence Schook dell’Università dell’Illinois, uno degli autori dello studio, li ha definiti quasi come due sotto-specie diverse. Prodotto di separati eventi di domesticazione.
Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature11622
doi:10.1038/491315a
Credits immagine: Max xx/Flickr