Categorie: Società

La paura cresce, lo dicono i libri

I libri scritti negli ultimi cinquanta anni conterrebbero meno parole connesse alle emozioni in generale ma, più in particolare, termini che esprimono paura. Soprattutto se i libri in questione sono inglesi. E’ quanto afferma il team di ricercatori composto da Alberto Acerbi, Vasileios Lampos, Philip Garnett e R. Alexander Bentley, in uno studio pubblicato su Plos One. La ricerca, intitolata “The Expression of Emotions in 20th Century Books”  analizza l’utilizzo delle cosiddette mood words, le parole con un contenuto emotivo, nella letteratura in lingua inglese (britannica e americana) del ventesimo secolo.

Lo strumento usato per la ricerca è stato il database Ngram di Google che, contenendo copie scansionate di più di 5 milioni di volumi, rappresenta un campione del 4% dei libri pubblicati da alcuni secoli a questa parte. Oltre al database, gli autori hanno utilizzato alcune liste di termini per individuare diverse categorie d’umore e tracciare il loro utilizzo nel tempo. Le emozioni prese in considerazione sono state sei: rabbia, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa.  

I risultati hanno mostrato una chiara diminuzione nell’utilizzo delle mood words attraverso gli anni, con l’unica eccezione, dal 1970 ad oggi, di quelle connesse alla paura. Non solo. Gli autori hanno infatti osservato che si riescono a distinguere periodi in cui hanno prevalenza emozioni positive, come gli anni ’20 e gli anni ’60, e periodi in cui invece prevalgono quelle negative, come la seconda guerra mondiale e gli anni ’70. Un’altra scoperta che emerge dallo studio è che, dal 1960, i libri scritti in inglese americano hanno incrementato il loro contenuto in mood words rispetto a quelli scritti in inglese britannico, risultando quindi più emotivi.

Mentre i recenti studi sui social network online hanno mostrato come l’utilizzo delle parole possa riflettere chiaramente gli eventi socio-politici a breve termine, sembrerebbe che lo studio delle mood word nei libri possa invece mostrare le conseguenze di eventi quali le guerre mondiali o il boom economico anche a lungo termine. Come a dire: ogni epoca si specchia nelle tecnologie che la caratterizzano, ora i social network, un tempo i libri.

Ma il dubbio rimane: l’utilizzo delle parole rappresenta davvero il comportamento e l’umore di una popolazione? La questione non è ancora chiara, ma di certo l’enorme abbondanza di dati adesso disponibili potrà aiutare gli studiosi a dare una risposta.

Riferimenti: Plos One doi:10.1371/journal.pone.0059030

Credits immagine: RonjaNilsson/Flickr

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