La proteina che aiuta la memoria

È sorprendente scoprire quanto sia eterogenea la funzionalità delle molecole presenti nel nostro corpo. Parlando di proteine, per esempio, numerosi studi hanno dimostrato che la stessa molecola proteica può svolgere ruoli anche molto differenti a seconda del tessuto o dell’organo in cui si trova. L’ultimo esempio viene da uno studio pubblicato su Cell in cui si parla di memoria. Un gruppo di ricerca coordinato da Mauro Costa-Mattioli del Baylor College of Medicine, in Usa, ha trovato il modo di potenziare l’apprendimento e, quindi, i processi mnemonici, agendo niente di meno che su una proteina normalmente coinvolta nella risposta immunitaria. Per ora lo studio è stato condotto solo sui topi, ma già si pensa a possibili, future applicazioni umane a scopo terapeutico.

La PKR (Protein kinase-R) è una proteina coinvolta nella risposta immunitaria del nostro organismo. Quando un virus infetta le cellule, la PKR blocca la sintesi delle proteine inibendo il processo di replicazione virale. In effetti, il numero e l’attività di questa proteina aumentano sensibilmente durante un’infezione. Ma Costa-Mattioli e la sua équipe di ricerca si sono accorti che la funzionalità di PKR era alterata anche nei pazienti affetti da disturbi cognitivi. Ecco perché hanno deciso di andare più a fondo indagando sul ruolo che questa proteina svolge nel cervello dei mammiferi.

“Per quanto ne sapevamo, la PKR era solo una molecola coinvolta nella risposta alle infezioni virali – ha spiegato Costa-Mattioli – la sua funzione nel cervello era totalmente sconosciuta”. Ecco perché i ricercatori sono rimasti molto sorpresi nello scoprire che la proteina ha un ruolo di primo piano nel potenziamento della memoria. “Inibendo geneticamente la sintesi di PKR nei topi – ha spiegato il ricercatore – siamo riusciti ad aumentare l’eccitabilità dei neuroni e migliorare i processi di apprendimento e consolidamento della memoria in numerosi test comportamentali”. In altre parole, i ricercatori hanno silenziato il gene responsabile della sintesi della proteina e testato i topi geneticamente modificati in compiti di memoria.

Tra questi, un test in cui i topi dovevano utilizzare indizi di natura visiva per scovare una piattaforma nascosta in una piscina circolare. Ebbene, i soggetti normali hanno avuto bisogno di ripetere il test molte volte e per molti giorni prima di memorizzare la posizione della piattaforma nascosta, mentre i topi senza PKR hanno imparato a risolvere il compito dopo solamente una sessione di test. Cercando le spiegazioni molecolari di questo processo, i ricercatori hanno scoperto che l’inibizione della PKR causa un incremento di attività degli interferoni di classe gamma, un altro tipo di molecole coinvolte nella risposta immunitaria.

“Questi risultati sono totalmente inaspettati – confessa Costa-Mattioli – perché dimostrano che due molecole normalmente coinvolte nella risposta alle infezioni virali giocano anche un ruolo determinante in quei processi cerebrali che conducono alla formazione della memoria a lungo termine nel cervello adulto”.

I ricercatori hanno poi scoperto che, senza ricorrere al silenziamento dei geni, lo stesso risultato si può raggiungere utilizzando una molecola che blocca l’attività della PKR. Si fa presto, quindi, a pensare a una pillola della memoria.

A dire il vero, di questo tipo di farmaci si è già parlato in passato, senza però di fatto arrivare a nulla. Ma è indubbio che potrebbero essere molto utili nel trattamento di patologie come l’ Alzheimer, che nel mondo affligge circa 35 milioni di persone. Certo, parlare di una pillola della memoria è ancora prematuro: bisogna ancora confermare sugli umani i risultati ottenuti nei topi e, nel caso, dimostrare che l’inibizione della PKR non provochi alcun effetto collaterale dannoso. “Certamente bisognerà condurre altre ricerche per trasformare questi risultati in applicazioni terapeutiche – ammette Costa-Mattioli – ma saremmo molto contenti se il nostro studio aiutasse a raggiungere l’obiettivo. Ciò che ci rende unici sono i ricordi, e questa proteina potrebbe aiutare a mantenerli e a formarne di nuovi”.

Via: Wired.it

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