Categorie: Società

Le origini genetiche della depressione

Quanto è comune la depressione? Secondo i dati dell‘Organizzazione mondiale della sanità sono almeno 350 milioni le persone che ne sono affette e solo negli Stati Uniti, le stime suggeriscono che almeno il 10% della popolazione soffrirà, a un certo punto nella sua vita, di disturbi depressivi. In particolare le donne, che vengono colpite il doppio rispetto agli uomini.

Diversi studi, in passato, hanno suggerito un ruolo della genetica nello sviluppo di questa malattia ma, nonostante il gran numero di casi esaminati (oltre 9 mila), gli scienziati ancora faticano a trovare un collegamento abbastanza forte da superare gli esami più minuziosi. Una ricerca, pubblicata questa settimana su Nature, è riuscita però per la prima a confermare il collegamento tra due varianti genetiche (ossia piccole differenze nella sequenza del Dna che avvengono di frequente nella popolazione) e i disturbi depressivi, facendo luce sulle cause di questa complessa e assai comune malattia.

In passato gli scienziati hanno studiato la ricorrenza della malattia nelle famiglie per cercare di ricavarne un modello di ereditarietà e rintracciare quindi le eventuali basi genetiche della malattia. Per farlo gli scienziati hanno studiato persone affette da depressione che avevano un fratello o una sorella gemella, per vedere se anche essi erano affetti dalla malattia e che contributo potesse avere in questo la genetica. Per esempio: dal momento che i gemelli omozigoti condividono il 100% dei loro geni ci si aspetterebbe che, se la depressione avesse davvero una causa genetica, i gemelli omozigoti di persone affette abbiano una probabilità molto alta di essere a loro volta malati. Gli studi condotti finora hanno mostrato che effettivamente questo succede nel caso dei disturbi depressivi gravi, con una ereditarietà del 40-50%, suggerendo quindi un collegamento con la genetica. Ma quali siano i geni influenzati e in che modo essi siano coinvolti rimaneva per lo più un mistero.

Per arrivare alla radice del problema, Jonathan Flint e i colleghi della University of Oxford hanno esaminato oltre 5 mila donne affette da disturbi depressivi, appartenenti al gruppo etnico han, il maggioritario in Cina e il più grande al mondo per numero di individui. In particolare, circa l’85% delle partecipanti era affetta da melancholic depression, un tipo di depressione che impedisce, a chi ne è affetto, di provare piacere o gioia. “È come essere nonni, aprire la porta e trovare il tuo nipotino preferito sulla porta,” ha spiegato Douglas Levison, psichiatra alla Stanford University: “E non provare assolutamente nulla”.

Durante lo studio, il genoma delle partecipanti è stato sequenziato portando all’identificazione di due aree, entrambe situate sul cromosoma 10, che sembrano essere associate con la malattia. Una di queste regioni, in particolare, si trova vicino al gene SIRT1, implicato nella produzione dei mitocondri, piccoli organelli cellulari che si occupano, tra le altre cose, di regolare il ciclo cellulare, di sintetizzare il colesterolo e di produrre energia. Un dato che potrebbe quindi indicare una correlazione tra i mitocondri e lo sviluppo della malattia.

Il collegamento con le due varianti genetiche è stato confermato in un successivo set di analisi, condotto su oltre 3 mila uomini e donne affetti dal disturbo, ed è coerente con i risultati ottenuti in precedenza dagli altri studi.

Ulteriori ricerche, suggeriscono gli autori, sempre basati sul sequenziamento del genoma, potrebbero aiutare a scoprire altre regioni coinvolte nello sviluppo del disturbo, senza ovviamente escludere l’importanza delle cause ambientali, che potrebbero costituirne fino al 50%. La speranza è che, con l’individuazione di un maggior numero di varianti genetiche associate alla depressione, sia possibile in futuro renderle il bersaglio di specifici farmaci.

Riferimenti: Nature doi: 10.1038/nature14659

Credits immagine: Daniel/Flickr CC

Claudia De Luca

Dopo la laurea triennale in Fisica e Astrofisica alla Sapienza capisce che la vita da ricercatrice non fa per lei e decide di frequentare il Master in Giornalismo e Comunicazione della Scienza all'Università di Ferrara, per imparare a conciliare il suo amore per la scienza e la sua passione per la scrittura.

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