Come affrontare la rabbia degli adolescenti

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(Foto: Jesús Rodríguez su Unsplash)

Le riflessioni di Alfio Maggiolini sui problemi di comportamento dei ragazzi in età evolutiva nascono dalla sua profonda esperienza di psicoterapeuta di adolescenti e dei loro genitori. Le indicazioni proposte in questo libro sono un po’ diverse da quelle che generalmente sono consigliate per affrontare le situazioni di disagio, ma lo sguardo con cui l’autore prende in considerazione la rivolta e la rabbia degli adolescenti permette al lettore una maggiore comprensione di quelle che a prima vista sembrano solo violenze ingiustificabili.

I disturbi del comportamento per definizione si esprimono attraverso azioni in cui domina la rabbia: trasgressività, distruttività, aggressività… e molto spesso l’attenzione degli adulti (dagli educatori ai giudici del tribunale dei minori) è rivolta al controllo dii queste manifestazioni disadattative. L’attenzione di Maggiolini, invece, si sposta sul significato di questi comportamenti, ritenendo che le azioni stesse possono essere interpretate come un linguaggio specifico, come un modo di “parlare agendo”, che deve essere compreso. Le trasgressioni hanno molte motivazioni diverse, con diversi elementi scatenanti, ed hanno spesso alla base proprio emozioni che rappresentano una chiave per decifrare i comportamenti palesi. Per esempio, la dinamica tra dipendenza/autonomia assume modi diversi di manifestarsi, in famiglia o fuori, anche in modo violento, ma spesso le reazioni aggressive dei figli diventano giustificazioni di comodo per i comportamenti dei genitori. Proprio in questa ottica è importante aiutare i ragazzi che si sentono lesi nella loro autonomia a recuperare un proprio spazio di azione, evitando manipolazioni ricattatorie.

Di solito, le ribellioni dei figli sono interpretate come volutamente destinate a provocare, a mettere in discussione l’autorità dei genitori che, con i loro no, vorrebbero invece bloccare le possibili trasgressioni. Il genitore sarebbe il soggetto e il ragazzo l’oggetto che dovrebbe reagire all’intervento. Maggiolini cerca piuttosto di mettere in evidenza, nella rabbia o nella violenza, anche l’espressione di un disagio, un modo di chiedere giustizia o maggiore attenzione ai propri bisogni. Insiste molto sul fatto che anche le manifestazioni di rabbia dovrebbero essere viste come un linguaggio da interpretare, e le richieste a cui i genitori si oppongono possono essere manifestazioni di bisogni non consapevoli, come il desiderio di farsi valere, o di una tristezza che potrebbe diventare depressione. 

In generale, prosegue l’autore, gli interventi che partono da una lettura di senso del comportamento funzionano, perché cercano di svelarne le cause profonde e permettono poi di agire in modo manifesto per regolarle. Una giusta regolazione da parte dei genitori, infatti, è necessaria ma richiede una sorta di consapevolezza del significato dei comportamenti trasgressivi e aggressivi  che si manifestano di volta in volta, spesso alla ricerca di un proprio sé e di una propria personalità.

Nel mondo occidentale attuale l’autodefinizione ha una grandissima rilevanza, ma sfocia facilmente nell’individualismo, in una rivendicazione dei diritti a scapito dei doveri: a questo proposito Franco Fornari, noto psicanalista milanese, ha introdotto il concetto di “democrazia degli affetti”, per cui i bisogni dei maschi e delle femmine, degli adulti e dei ragazzi, dei figli e dei fratelli dovrebbero essere messi sullo stesso piano, in un equilibrio almeno teoricamente ideale che vede uno spazio  e una possibilità di autodefinizione per tutti. Questo porta ad una modalità relazionale non autoritaria delle dinamiche familiari; ma una modalità analoga potrebbe essere sviluppata a scuola nella relazione tra adolescenti e insegnanti, attivando processi di educazione o rieducazione progressiva, non solo in funzione deterrente.  

Se i comportamenti vengono intesi come linguaggi che esprimono desideri, pensieri e immagini di sé, la loro interpretazione richiede spesso un aiuto competente. Su questa linea educativo-interpretativa l’autore descrive la rabbia e la violenza degli adolescenti nei confronti degli oggetti o degli stessi genitori come uno dei modi di manifestare la propria trasgressività, ma anche come un modo di nascondere la propria debolezza, o l’incapacità di assumersi responsabilità.  A scuola la rabbia si manifesta spesso tra compagni  con sfide competitive che a volte sfociano nel bullismo, di solito nei confronti di figli di famiglie con uno stile educativo iperprotettivo. Bisognerebbe capire come funziona la leadership nei singoli gruppi, comprendere i ruoli dei vari personaggi ma anche ricordare come i codici di gruppo tendono facilmente a bollare come infami le richieste di aiuto, o le manifestazioni di debolezza. Ed anche questi atteggiamenti violenti tra pari sono linguaggi che bisognerebbe comprendere e interpretare, perché spesso esprimono disagi nascosti o inconsapevoli.

Rivolgendosi ai genitori, Maggiolini è ben consapevole che non esistono genitori ideali, e che il loro ruolo deve modificarsi nel tempo adeguandosi alle necessità sempre nuove di un figlio che cresce. Resta per loro la necessità di mentalizzare queste necessità e i bisogni che evolvono rapidamente. Attaccamento e protezione devono modificarsi nel tempo, secondo le caratteristiche della nostra specie in cui il bisogno di cure parentali è protratto nel tempo: la struttura cerebrale umana favorisce la capacità di prendersi cura  dei propri figli e proprio la neocorteccia, in particolare, è responsabile dello sviluppo di competenze sociali specificamente umane, quali il linguaggio e la capacità di cogliere le intenzioni dell’altro. Anche l’educazione è un processo biologico e deve tener conto delle caratteristiche biologiche della specie.

Così nel processo educativo il conflitto tra amore e paura può modellarsi su una sorta di “etica naturale” presente fin dai primi momenti dello sviluppo mentale. Questa componente, antropologica e biologica al tempo stesso, spinge ogni essere umano a  provare compassione per le sofferenze degli altri, a comportarsi in base ad un innato  senso di giustizia, ad un senso di lealtà e ad un senso morale che orienta fin dalla nascita nella discriminazione tra bene e male. Valorizzare questi principi base porta a sostenere la svolta antiautoritaria nell’educazione dei figli, ad evitare le umilianti punizioni fisiche o le troppo frequenti privazioni (niente cellulare per una settimana!), ed anche ad evitare il ricorso ai sensi di colpa, più subdoli ma spesso dannosi perché mostrano un genitore che lamentandosi non si assume la responsabilità del proprio comportamento.

Gli ultimi capitoli del libro descrivono come alcune difficoltà familiari incidano sulla formazione e sulle modalità reattive dei ragazzi e analizzano sia l’incidenza di problemi relativi alla cura (e alla non-cura) dei figli, sia la validità de “L’incontro con la legge”, quando i ragazzi vengono sorpresi nei loro piccoli furti, spaccio o comportamenti sessuali non corretti. Fino a cinquant’anni fa si riteneva che l’efficacia educativa del trattamento penale fosse nulla. Ora si prendono in considerazione più elementi, tra cui i vari fattori di rischio e nuove modalità di intervento. Per esempio accettare un periodo di prova sotto il controllo di educatori specializzati è molto importante per dare ai ragazzi maggiori opportunità di modificare il loro comportamento e attivare una più consapevole responsabilizzazione. Anche l’inserimento in comunità può diventare utile se il ragazzo riesce a viversi e ad essere visto in modo diverso rispetto a quello della famiglia, imparando a riconoscersi e a sviluppare altre qualità.  La scelta tra comunità educative e comunità terapeutiche è molto importante, e la loro validità dipende non solo dalle esigenze del ragazzo ma anche dalla qualità e dalla competenza degli operatori, non sempre adatti e non sempre capaci di operare una distinzione tra responsabilizzazione e colpevolizzazione.  Anche il sistema penale può essere coinvolto nel caso di recidive o di reati gravi ma, osserva Maggiolini, paradossalmente funziona meglio quando non fa il suo lavoro di colpevolizzare e punire, ma quando individua il bisogno che motiva il reato.

Nelle conclusioni, l’autore ribadisce la complessità del circolo vizioso che spesso si stabilisce tra educatori (genitori compresi) spesso spaventati e ragazzi rabbiosi e aggressivi, un circolo che spesso è difficile interrompere ed elaborare. E’ importante, piuttosto, riuscire ad integrare la capacità di gestire i conflitti con la comprensione dei vari comportamenti, che non sono mai l’espressione di un unico fattore e non hanno chiare ed esplicite motivazioni ma, nella loro complessità, dipendono spesso da inconsapevoli esigenze della persona.

Credits immagine: Jesús Rodríguez su Unsplash