Esiste il libero arbitrio? Due filosofi a confronto

(Foto: sydney Rae on Unsplash)

Attraverso tre dialoghi due ben noti filosofi, Daniel C. Dennett e Gregg D. Caruso, si confrontano su vari temi, argomentando con esempi le loro diverse posizioni: determinismo o libero arbitrio? Fortuna o impegno personale? Colpa e punizione o solo “quarantena” per chi ha fatto del male agli altri? Come in tutti i dibattiti filosofici, però, nonostante le argomentazioni, i paradossi e le estrapolazioni al limite, nessuno dei due riesce a convincere definitivamente l’avversario. Il bravo lettore non può che confrontare il suo modo di pensare ora con l’uno ora con l’altro filosofo, magari pensando a quale gruppo tassonomico (di filosofi) si avvicinano di più le sue idee. Sarà uno scettico ottimista sul libero arbitrio o un compatibilista di quarto grado? Potrebbe sentirsi più consequenzialista o più incompatibilista fonte, ovviamente diverso da un incompatibilista margine? E se fosse invece soltanto un piuttostista? Definirsi è difficile, ma anche Caruso, alla fine, rinuncia ad includere con certezza Dennett all’interno di uno dei tanti gruppi di opinione.

Siete scettici ottimisti o compatibilisti di quarto grado? Quello che siamo è merito o fortuna? E come punire chi contravviene alle regole sociali? Due filosofi a confronto sul libero arbitrio
Daniel C. Dennett, Gregg D. Caruso
A ognuno quel che si merita. Sul libero arbitrio
Raffaello Cortina 2022
Pp 250, € 21,00

La discussione viene avviata da Caruso, scettico sul libero arbitrio, il quale sostiene che ”il modo in cui siamo è fondamentalmente il risultato di fattori che sfuggono al nostro controllo” e che quindi non esiste possibilità di libero arbitrio. Dennett, probabilmente un consequenzialista, controbatte sostenendo comunque la responsabilità individuale, il merito nei propri successi o insuccessi, e la necessità sociale di una giustizia. Anche se non si è consapevoli di essere condizionati dall’esterno, la capacità di decisione resta immutata. Di conseguenza il sistema di pene deve esistere ma non deve essere retributivo e non deve servire da deterrente contro possibili azioni delinquenziali commesse da altri.

Si affrontano i problemi del merito e della fortuna: è una questione di fortuna essere nati in condizioni di vita favorevoli? E allora si punisce la colpa o la sfortuna sociale? Il merito dipende dall’impegno individuale e dalla scelta del proprio comportamento (Dennett) o dalle situazioni di vita di cui non si è responsabili (Caruso)? Come affrontare le cause sistemiche delle disuguaglianze economiche, del razzismo, del sessismo, della disparità educativa?

A proposito del libero arbitrio e del condizionamento imposto dalle circostanze, Dennett sostiene la capacità di autodeterminazione degli individui, costruita pazientemente fin dalla nascita dalla famiglia e dalla scuola, attraverso una graduale educazione alla responsabilità delle proprie azioni all’interno di una società.

Lo Stato deve essere in grado di imporre delle regole e, soprattutto, deve farle rispettare: regole chiare, condivise e approvate dalle persone, certamente migliorabili. Queste rendono la società stabile e sicura perché chi sceglie di disobbedirvi deve essere considerato meritevole delle conseguenze previste dalle regole stesse; le pene sono giuste solo se meritate, ed è importante sia non punire gli innocenti sia punire i colpevoli in relazione alle loro violazioni: come in ogni gioco onesto, a seconda di ciò che fanno, i vincitori meritano di vincere e i trasgressori meritano di essere penalizzati o addirittura estromessi dal gioco.

Caruso a sua volta, da scettico sul libero arbitrio, non ammette responsabilità di merito o di colpe e di conseguenza non può ammettere una giustizia retributiva; propone invece un sistema di quarantena per tenere lontano chi delinque dalla possibilità di farlo ancora. Inoltre si oppone alle teorie consequenzialiste della deterrenza (cioè alla punizione come monito), ma ritiene che chi sia stato offeso abbia il diritto di proteggersi dal comportamento immorale altrui e dalle sue conseguenze. Se un individuo rappresenta una minaccia (perché determinato da tutto il suo passato fin dai tempi in cui ancora non esisteva) è necessario incapacitarlo, chiedendo giustificazioni del suo comportamento se ne è consapevole, e provvedendo con forme di trattamento adeguate alla sua riabilitazione.

I due filosofi concordano sulle molte ingiustizie del sistema giudiziario americano e citano la questo proposito a legge californiana dei tre colpi che prevedeva, negli anni ’90, una pena da venticinque anni all’ergastolo per chi aveva commesso più di due piccoli furti e ne fosse stato condannato.

Nel corso del dialogo si alternano punti di vista sulla società, condizionante secondo Caruso oppure, secondo Dennett, capace di formare persone in grado di assumersi la responsabilità di controllarsi e di non lasciarsi controllare da altri. I temi della responsabilità individuale e del comportamento condizionato da circostanze più o meno fortunate (o fortunose) vengono dunque analizzati da entrambi i filosofi e ciascuno controbatte con esempi, controesempi e articolate argomentazioni le opinioni dell’altro.

Pur ribattendo punto per punto le opinioni avversarie, alla fine dello scontro non si arriva a posizioni condivise. Quindi non ci sono conclusioni su cui concordare ed è lasciata al lettore la responsabilità di decidere chi dei due contendenti sia stato più convincente e chi abbia offerto la teoria più coerente.

Credits immagine: sydney Rae on Unsplash