Il metodo di Marsha Linehan contro la sofferenza mentale

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(Foto: Sage Friedman on Unsplash)

Certamente la gratificazione è una componente importante delle autobiografie, e descrivere i propri successi o il raggiungimento dei propri obiettivi è sostanzialmente piacevole, anche se chi ascolta il racconto può avere spesso dei dubbi sulla attendibilità della narrazione stessa. L’autobiografia in questo caso è quella di Marsha Linehan che, a partire dalla sua esperienza adolescenziale di ricovero in cliniche private, elabora una soluzione efficace per curare la sofferenza mentale attraverso un metodo messo a punto da lei stessa e indicato come DBT (Dialectical Behavior Therapy).

La spinta originaria nasce in un momento di grave sofferenza in cui l’autrice, soggetta a tendenze suicidarie ed autolesionistiche, giura a Dio “che si sarebbe tirata fuori da quell’inferno e che, una volta fatto questo, sarebbe tornata in quell’inferno e ne avrebbe tirato fuori altre persone”. La divinità nelle sue diverse manifestazioni (cattoliche, protestanti, zen…) accompagna la vita e la carriera accademica della protagonista che, seguendo e adattando alle circostanze le teorie comportamentiste, insegna ai suoi clienti/pazienti una serie di attività che permettono loro di controllare la sofferenza, di vincere le tendenze suicidarie e di “crearsi una vita meritevole di essere vissuta”.

Marsha M. Linehan UNA VITA DEGNA DI ESSERE VISSUTA, Raffaello Cortina Ed. 2020, Pp. 414, € 24,00


L’esigenza di dare scientificità alla propria teoria si alterna a crisi di tipo mistico che portano la terapeuta a cercare Dio, a volergli parlare e ad ascoltare la sua voce, a cercarne l’amore scoprendo, talvolta, che amare se stessi può essere equivalente all’amare Dio stesso. Le meditazioni Zen recano altrettanto aiuto e sono altrettanto efficaci nella ricerca di una partecipazione intensa allo spirito del mondo.


Una volta ottenuto il dottorato e dopo aver abbracciato con entusiasmo l’idea di essere una scienziata, l’autrice si trova anche nella necessità di trovare il contesto, i soldi e i modi per sviluppare queste competenze scientifiche: bisognava liberarsi del modello psicoanalitico di Freud, non scientifico in quanto non supportato da dati oggettivi bensì costruito su un inconscio che nessuno può verificare, e liberarsi anche dell’approccio psicodinamico, non scientificamente fondato su teorie attendibili. La strada giusta era, per Marsha Linehan, l’approccio comportamentista, costruito sui dati positivi dell’esperienza di ciascuno e sull’apprendimento sociale. Se l’aggressività è un comportamento socialmente condiviso è facile che i bambini crescano aggressivi… si creano infatti un modello validato in base al quale agire. Secondo questa impostazione, sviluppando esempi positivi di efficacia sociale, si possono proporre modelli clinici ambientali a cui tendere, sviluppando con l’esercizio ripetuto delle specifiche abilità. Queste tendono a valorizzare i comportamenti che orientano le persone in difficoltà verso ciò che possono effettivamente fare e volere: per esempio, l’autrice riporta l’elaborazione comportamentista di ben 47 ragioni per non desiderare il suicidio. Tra queste, anche il giudizio sociale potrebbe aiutare le persone a mettere fine ai comportamenti indesiderati e a mettere in atto quelli desiderati.

Per essere efficaci e “fare ciò che funziona”, cioè per assumere il comportamento giusto, la DBT propone di sviluppare una serie di sette competenze che aiutino il cliente/paziente a prendere coscienza dei propri bisogni e sviluppare le strategie opportune per realizzarli. Non è sempre utile modificare i pensieri, come propongono altre modalità terapeutiche, è utile modificare il proprio comportamento. A queste sette competenze si possono aggiungere i sei punti chiave dell’accettazione radicale di sé e le quattro abilità capaci di aiutare le persone a tollerare la sofferenza. Queste ultime sono azioni fisiche che riducono l’eccitazione del sistema nervoso, come il controllo del respiro, il controllo della temperatura, lo sforzo fisico e il rilassamento muscolare. Accettazione radicale di se stessi nel momento presente e cambiamento verso una vita migliore sono gli obiettivi terapeutici che devono equilibrarsi dinamicamente nella DBT in modo da ottenere efficaci risultati, probabilmente più facili ad elencare che a mettere in pratica. Affrontare i problemi da un punto di vista religioso e spirituale è un aiuto efficace per tollerare la sofferenza, ma è necessario conquistare con l’esercizio anche altre abilità: abilità di mindfulness per aumentare la felicità, abilità di regolazione delle emozioni, abilità di efficacia interpersonale, utili – come dichiara l’autrice – anche nella vita di tutti i giorni. La DBT si presenta quindi come una terapia molto pragmatica, orientata all’azione e alla risoluzione dei problemi, sempre guidata dall’obiettivo di vivere una vita degna di essere vissuta.

Nella biografia dell’autrice, i suoi rapporti con Dio e con la meditazione Zen in cui diventa “maestra”, si alternano ai suoi successi accademici e clinici, ai suoi corsi interattivi, alla formazione di terapeuti capaci di seguire le sue indicazioni, al perfezionamento del metodo, alla ricerca di una serenità familiare e – anche – a momenti di sconforto facilmente superati. Il libro si conclude con la descrizione di un seminario – quasi un’apoteosi – tenuto in presenza di familiari, amici e un vastissimo pubblico plaudente in cui l’autrice racconta la storia della sua vita poi raccolta nel volume che ha questo titolo. “Perbacco – pensa l’autrice al termine del seminario – ora mi metterò a piangere”. Ma fortunatamente le lacrime ci vengono risparmiate.

Credits immagine di copertina: Sage Friedman on Unsplash