Lucy, scalatrice per abitudine

È una questione che infiamma da sempre l’antropologia: individuare il momento evolutivo in cui gli ominidi, da scalatori arboricoli, si sono trasformati in bipedi terrestri. Se uno studio dello scorso ottobre suggeriva che gli Australopithecus afarensis, vissuti oltre 3,5 milioni anni fa e diventati famosi grazie a Lucy, avessero abitudini locomotorie a metà tra quelle degli uomini moderni e delle scimmie antropomorfe (vedi Galileo: Lucy, l’arrampicatrice), un nuovo lavoro su Pnas svela oggi ulteriori dettagli sulla questione.

I ricercatori del Dartmouth College di Hannover, infatti, hanno comparato le caratteristiche anatomiche degli australopitechi con quelle degli uomini moderni: la struttura fisica di Lucy sarebbe stata “incompatibile” con una vita arboricola, proprio come quella dell’Homo sapiens. Ma non del tutto, dal momento che esistono parecchie evidenze sperimentali del fatto che Lucy passasse molto tempo sugli alberi: è proprio da questa apparente contraddizione che è partito lo studio degli scienziati. Come riuscivano gli australopitechi ad arrampicarsi?

“L’Australopithecus afarensis possedeva una caviglia rigida e piedi arcuati, non prensili”, sostiene Nathaniel Dominy, uno degli autori del lavoro: “Queste caratteristiche, secondo le teorie oggi più diffuse, sono funzionalmente incompatibili con l’arrampicata, e quindi indicatori definitivi di una vita terrestre”. Per vederci più chiaro, i ricercatori hanno analizzato l’Homo sapiens di oggi, comparando le caratteristiche anatomiche dei raccoglitori-cacciatori delle comunità Twa (Uganda) e Agta (Filippine) con quelle dei loro vicini agricoltori, le tribù Bakiga e Manobo.

Sia i Twa che gli Agta sono soliti scalare alberi alla ricerca di miele: poggiano le piante dei piedi direttamente sul tronco e “camminano” verso la cima, facendo avanzare alternativamente braccia e gambe. Dominy e la sua équipe hanno documentato in questi soggetti la capacità di piegare i piedi verso lo stinco con un angolo molto superiore rispetto ai loro colleghi “terrestri”. Dal momento però che le ossa delle gambe e le articolazioni delle caviglie sono del tutto normali, i ricercatori hanno ipotizzato qualche differenza nel tessuto molle che consenta una flessione così estrema. E in effetti un’ecografia ha mostrato che negli arrampicatori le fibre del gastrocnemio, un muscolo del polpaccio, sono significativamente più lunghe rispetto agli altri.

“Questi risultati mostrano che l’abitudine di Twa e Agta ad arrampicarsi modifica l’architettura muscolare associata alla flessione della caviglia”, sostiene Dominy. “Pensiamo che per Lucy sia avvenuto lo stesso: nonostante i suoi piedi non fossero adatti ad arrampicarsi, l’abitudine e i retaggi comportamentali dei suoi progenitori hanno avuto la meglio”. Un po’ come il calabrone dell’ingegnere e pilota russo Igor Sikorskij, la cui “struttura alare, in relazione al peso, non è adatta al volo, ma il calabrone non lo sa e vola lo stesso”.

Riferimenti: Pnas doi:10.1073/pnas.1208717110

Credits immagine: Nathaniel Dominy

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