All’origine della magia delle aurore pulsanti

(Foto: Nasa)

Molti di noi si accontentano di vederle solo nei desktop dei computer o nei display degli smartphone, ma chi ha la fortuna di ammirarle dal vivo non può che rimanere a bocca aperta. Un fascino ipnotico quello delle aurore polari, protagoniste di antiche leggende e immortalate in numerosi video e fotografie da appassionati che si recano nei più freddi e remoti angoli del pianeta, nella speranza di osservarle. Non tutti però sanno che esistono diversi tipi di aurore polari: le spettacolari aurore discrete, più studiate e conosciute e le aurore pulsanti che si manifestano come istantanee chiazze luminose intermittenti. Riguardo alla formazione delle aurore pulsanti gli scienziati avevano formulato una teoria che però non era mai stata confermata dalla presenza di dati scientifici. Recentemente uno studio pubblicato su Nature ha aggiunto un tassello in più in merito alle conoscenze sulle cause di questo spettacolare fenomeno.

Le aurore polari, in generale, appaiono come un susseguirsi di luminosi fasci colorati che ondeggiano nei cieli notturni alle estreme latitudini dei due emisferi terrestri. Il loro manifestarsi è dovuto all’interazione tra un flusso ad alta velocità di particelle cariche (per lo più elettroni) trasportate dal vento solare e gli atomi della ionosfera, uno degli strati più esterni dell’atmosfera (tra 100 e 500 chilometri dalla superficie terrestre).

Il nuovo studio, coordinato da un team di ricercatori di Tokyo, ha utilizzato i dati di un sofisticato sensore a bordo del satellite giapponese Erg (Exploration of energization and Radiation in Geospace) lanciato in orbita alla fine del 2016 per studiare le fasce di Van Allen (una regione della magnetosfera con un’ alta densità di particelle cariche trattenute dal campo magnetico terrestre). I dati rilevati dal sensore hanno confermato per la prima volta quella che per gli scienziati era, finora, solo un’ ipotesi: le aurore pulsanti sarebbero il risultato dell’interazione tra le particelle provenienti dal vento solare e un particolare tipo di onde di plasma, chiamate chorus waves (onde di coro). Si tratta di una serie di onde elettromagnetiche le cui frequenze, se appositamente convertite, sono udibili dall’orecchio umano come un caratteristico coro simile al cinguettio degli uccelli. Gli elettroni del vento solare, scontrandosi con queste onde, vengono accelerati e precipitano verso la parte più alta dell’atmosfera provocando una cascata elettronica visibile come un improvviso bagliore.

Il sensore presente all’interno dell’Erg, infatti, è riuscito a individuare il flusso di elettroni eccitati dalle chorus wave isolandolo dagli altri elettroni normalmente presenti nella ionosfera. I dati raccolti sono stati messi in relazione con il verificarsi di aurore pulsanti rilevate da apposite telecamere e dal confronto è emerso un reale collegamento tra il flusso di elettroni riconducibile alle chorus waves e i bagliori registrati dalle telecamere. Gli scienziati avevano già ipotizzato un legame tra i due fenomeni ma fino a oggi non avevano mai avuto la certezza che queste particolari onde canterine avessero l’energia sufficiente a causare le aurore pulsanti.

“Quello ottenuto è un risultato molto importante per la comprensione del fenomeno delle aurore polari”, spiega Mirko Piersanti, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “Inoltre la scoperta ha dei risvolti che vanno ben al di là dell’interesse scientifico e riguardano la sicurezza della rete aviaria: questo studio apre, infatti, la strada alla previsione delle aurore pulsanti che, essendo cariche di particelle, possono mettere in pericolo i tragitti aerei sulle rotte polari” conclude il ricercatore.

Riferimenti: Nature

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