La materia non è oscura, non c’è

E se l’energia oscura in realtà non ci fosse? Quella forza elusiva e misteriosa, introdotta nei modelli cosmologici per far quadrare i conti e giustificare l’evidenza dell’espansione dell’Universo, che ne costituirebbe il 70 per cento, potrebbe uscire di scena. A darle il benservito uno studio firmato da Antonio Riotto, dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Padova, Sabino Matarrese, professore ordinario di cosmologia all’Università della stessa città, con Edward Kolb del Fermilab di Chicago e Alessio Notari della McGill Univeristy in Canada. Lo studio è stato da poco sottoposto alla rivista Physical Review Letters. Basandosi sui dati resi disponibili dagli esperimenti Boomerang e Wmap (che hanno studiato le variazioni nella radiazione cosmica di fondo), i ricercatori hanno provato ad affrontare in modo inedito uno dei problemi più spinosi (“il problema con la P maiuscola” lo definisce Antonio Riotto) della cosmologia moderna.Facciamo un passo indietro, fino ad Einstein e alla formulazione della teoria della relatività generale. Lo scienziato tedesco era fermamente convinto che l’Universo in cui viviamo fosse statico, ma le stesse equazioni della relatività generale lo indicavano invece in espansione. Einstein introdusse quindi nei calcoli una forza, chiamata “costante cosmologica”, che contrastasse la spinta all’espansione. Quando, già nel 1929, le prime prove sperimentali, mostrarono che l’Universo effettivamente si sta espandendo, Einstein dovette rinnegare la costante cosmologica, arrivando a definirla nei colloqui con i colleghi il più grande errore della sua vita. In seguito, però, i cosmologi hanno dovuto rivalutare quell’errore e reintrodurre la costante cosmologica sotto altro nome. Infatti, a partire dal 1998 l’osservazione di alcune supernove ha mostrato inequivocabilmente che l’Universo si espande accelerando: e questo poteva essere spiegato solo presupponendo una “energia oscura”, che ammonterebbe al 70 per cento dell’Universo. È la vecchia costante cosmologica, un po’ meno costante nel senso che cambia con il tempo. L’energia oscura dovrebbe corrispondere a quella che i fisici delle particelle chiamano energia del vuoto quantistico, presente in tutte le interazioni fondamentali. Il problema dei problemi, spiega Riotto, è che secondo i fisici delle particelle il valore di questa energia dovrebbe essere enormemente più alto di quello formulato dai cosmologi. Qualcosa non torna. La via d’uscita proposta dai fisici italiani si basa sulla teoria cosmologica dell’inflazione, secondo cui l’Universo avrebbe attraversato, nei suoi primi istanti di vita, una fase di espansione molto veloce, che poi avrebbe rallentato. Questo avrebbe introdotto delle increspature dello spazio tempo, molto piccole all’inizio ma diventate più significative con il tempo. Proprio come in un palloncino, dove piccole irregolarità diventano macroscopiche quando viene gonfiato. L’esistenza di queste increspature è confermata dalla presenza di fluttuazioni nella radiazione cosmica di fondo. Riotto, Matarrese e colleghi hanno provato semplicemente (se si può usare il termine) a riconsiderare le equazioni di Einstein inserendo in esse le increspature dello spazio-tempo. “Quello che abbiamo dimostrato”, spiega Riotto, “è che quelle increspature nello spazio-tempo crescono con il passare del tempo, come una marea che si alza e si abbassa, ma ogni giorno si alza un po’ di più. Ed è proprio questa progressiva amplificazione di quelle fluttuazioni a spiegare perché l’Universo si espanda accelerano. Non solo, ma così si spiega anche un altro dato emerso dall’analisi delle supernove, cioè il fatto che l’Universo abbia iniziato a espandersi recentemente, circa 2 miliardi di anni fa. Serviva del tempo perché quelle che all’inizio erano piccole increspature diventassero significative”. L’espansione accelerata dell’Universo diventa così comprensibile senza fare ricorso all’energia oscura. Rimane invece ferma l’ipotesi della materia oscura, della cui esistenza, spiega Riotto, esistono ormai diverse conferme sperimentali e che è alla base dello stesso modello descritto da questo studio.

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