Morte di una cometa kamikaze

Ecco il viaggio di una cometa (la seconda in poco tempo) che si tuffa nel Sole per disintegrarsi. Una ripresa video che i ricercatori di Nasa ed Esa non avevano mai avuto modo di ottenere prima d’ora. In 15 anni di osservazioni, il telescopio orbitante Soho ha osservato più di 2.000 comete entrare nella nostra stella, ma mai nessuna entrare nella corona solare e uscirne ancora intera, sebbene un po’ ammaccata. Poi, a dicembre, è arrivata Lovejoy (vedi Galileo, “La cometa che ha attraversato il Sole”). Ora la scena è di un’altra cometa, C/2011 N3: il racconto degli ultimi momenti di vita del corpo celeste – pubblicato su Science – potrebbe fornire informazioni sull’atmosfera e sul campo magnetico del Sole.

Sia Lovejoy che C/2011 N3 fanno parte di una larga famiglia di comete chiamate gruppo Kreutz – che Soho osserva dal suo lancio nel 1995 – e che si pensa si siano formate in tempi relativamente recenti (2.500 anni), dalla frantumazione di un corpo celeste più grande. Solo una piccola percentuale di queste – ovvero quelle che hanno diametri superiori a 100 metri – sopravvivono al passaggio ravvicinato al Sole. La maggior parte, invece, si disintegra molto prima di raggiungere il perielio, ovvero il punto dell’orbita più vicino alla stella. Per questo, e per il fatto che genericamente è difficile prevedere quale delle più grandi si tufferà nell’astro in un passaggio troppo radente, per i ricercatori è piuttosto complicato registrare dati relativi alle comete kamikaze.

Ecco perché, per osservare questo evento e ricavarne informazioni utili, non ha lavorato solo Lasco (Large Angle and Spectrometric Coronagraph), strumento montato su Soho e costantemente puntato sul Sole, ma anche i telescopi orbitanti Sdo (Solar Dynamics Observatory) e Stereo (Solar-Terrestrial Relations Observatory), che avevano già registrato il volo di Lovejoy. Grazie ai dati di queste tre sonde, i ricercatori hanno potuto osservare come la cometa sia esplosa in più frammenti dopo un viaggio nel Sole di 100.000 chilometri, un decimo del raggio. O, meglio, hanno potuto rilevarne nell’ultravioletto e da calcoli indiretti il tragitto e la morte, visto che non è possibile osservare direttamente cosa succede all’interno dell’atmosfera della stella.

La maggior parte dei dati ricavati dall’osservazione sono stati ottenuti controllando la decelerazione subita dal materiale perso dal nucleo della cometa, ovvero osservando le modificazioni che avvenivano nella coda. Mettendo in rapporto questi dati con la traiettoria, la velocità, la radiazione solare e con i dati approssimativi che i ricercatori avevano sulla composizione della corona solare, i fisici sono riusciti a ricavare la massa persa dalla cometa lungo tutto il tragitto, fino ad arrivare a decretare, grazie a calcoli energetici indiretti, che il corpo celeste si fosse frantumato. La massa totale persa dalla cometa nel tratto in cui è stato possibile fare le rilevazioni era compresa tra 600.000 e sei milioni di chilogrammi, e il tasso di perdita di materia poteva variare da 1 a 100 tonnellate al secondo. “Prima di queste osservazioni, le masse delle comete potevano essere ricavate solo da misure di luminosità e albedo, oppure da una stima della loro densità”, hanno spiegato i ricercatori nello studio.

Dall’interazione della cometa con il Sole è possibile ricavare informazioni sull’atmosfera della nostra stella, nonché fornire ulteriori dati per capire la composizione delle comete della famiglia Kreutz e per sapere come si siano formate. “La sonda Soho osserva uno questi corpi celesti che si avvicinano al Sole, sfiorandolo, almeno una volta ogni tre giorni”, hanno concluso i fisici nello studio: “Ed è vero che la maggior parte di questi si disintegra prima di raggiungere il perielio; nonostante questo, ce ne sono diversi che ogni anno riescono a raggiungere la corona. Proprio attraverso lo studio di questi oggetti potremmo avere ulteriori informazioni sulle proprietà sia dei corpi celesti che dello strato superficiale della nostra stella”.

Riferimento: doi: 10.1126/science.121168

Credit immagine:  SOHO (ESA & NASA)

Credit video: NASA/SDO

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