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Mucillaggini in gabbia

di
Stefano Gruppuso

Temute dagli albergatori per i danni economici che provocano allontanando i turisti, dai pescatori perché minacciano il loro lavoro, dai villeggianti perché rovinano le loro vacanze, le mucillagini anche quest’anno hanno fatto la loro apparizione. Nelle Marche, dove la Federpesca interregionale ha chiesto un monitoraggio scientifico, sul litorale laziale, dove i pescatori hanno lanciato l’allarme: nelle reti si prendono solo alghe, niente pesci. Eppure le mucillagini non sono un fenomeno recente e non sono collegabili all’inquinamento che spesso mette in mostra il mare dei nostri giorni. Il più antico documento che descrive la presenza in Adriatico di strisce giallastre e gelatinose risale al 1729. Esistono anche altre prove scritte che segnalano il fenomeno durante l’Ottocento e agli inizi del Novecento, per un totale di 26 eventi registrati fino a oggi. A farne un evento straordinario ha probabilmente contribuito l’assenza di mucillagini registrata per 30 anni, fino al 1988, anno della prima comparsa massiccia del fenomeno. “Il fenomeno è molto complesso e ha più di una causa”, spiega Attilio Rinaldi, direttore della Struttura Oceanografica Daphne dell’Arpa, una delle unità operative che ha preso parte allo studio promosso dal Ministero dell’Ambiente e dall’Icram (Istituto Centrale per la Ricerca Applicata al Mare) dei processi di formazione delle mucillagini. Quattro anni di lavoro condotti da 25 istituti di ricerca italiani e uno croato, 130 scienziati, tra biologi, chimici e fisici, e sei imbarcazioni oceanografiche, tre sull’Adriatico e tre sul Tirreno che dal 1999 all’inizio del 2003, hanno setacciato l’Adriatico settentrionale, da Trieste ad Ancona, e, nel Tirreno, il mare circostante l’Arcipelago Toscano, l’isola d’Ischia e la Sicilia settentrionale. A lui abbiamo chiesto di illustrare i risultati raggiuntiProfessor Rinaldi, qual è allora la causa delle mucillagini?”La temperatura atmosferica del pianeta è aumentata e assieme a questa anche quella delle acque del Mediterraneo, e, ancor più dell’Adriatico, mare chiuso e poco profondo. L’innalzamento termico ha determinato modifiche alla dinamica delle correnti tra nord e sud. Insieme a questo abbiamo constatato anche un altro fenomeno: acque provenienti da oriente, con altissima salinità, si spostano verso il centro del Mediterraneo. Questa corrente determina effetti negativi per l’Adriatico, favorendo il ristagno, operando, in pratica, come una sorta di tappo che impedirebbe la normale circolazione di ricambio delle sue acque. Conseguenza di questa mancanza di riciclo è l’accumulo di sostanze prodotte da organismi marini che nel periodo estivo porta agli affioramenti di mucillagini”.Quindi esclude un nesso con l’eutrofizzazione, altro fenomeno che minaccia l’Adriatico?”L’eutrofizzazione e le mucillagini sono due cose nettamente distinte. La prima è al 100 per cento attribuibile all’essere umano e compare per la prima volta nell’Adriatico negli anni Sessanta. E’ un processo degenerativo delle acque causato principalmente dai carichi di azoto e fosforo, presenti nei fertilizzanti e nei detersivi, che arrivano al mare attraverso i fiumi, spesso collettori di reflui provenienti dalla zootecnia e da città non ancora dotate di impianti di depurazione. Milano, per esempio, non ha ancora un depuratore che copra tutta la sua area urbana. L’eutrofizzazione si manifesta con alterazioni del colore e della trasparenza delle acque per la forte concentrazione di fioriture di microalghe. Può generare carenze di ossigeno nelle acque di fondo e quindi può determinare la morte di pesci e molluschi che vivono nei fondali. Le mucillagini, invece, sono accumuli di materiale gelatinoso prodotto da diversi organismi viventi in particolari fasi del loro ciclo biologico. Non sono quindi sviluppi abnormi di alghe. Hanno un aspetto schiumoso, più o meno denso. Compaiono in molti mari, anche extra mediterranei. Il fatto che siano apparse nel Tirreno, dove non esiste eutrofizzazione, dimostra che non esiste una relazione tra i due fenomeni. Nell’Adriatico, essendo un mare poco profondo le mucillagini si rendono ben visibili, ma non sono più numerose di quelle tirreniche”. Professore questa la diagnosi. E la terapia?”Non c’è una terapia specifica. Bisogna riportare sotto controllo il fenomeno del cambiamento climatico. Significa, in altre parole, partire dal protocollo di Kyoto e dagli impegni che prevede per ogni Stato. Ma non sarà facile sbrogliare questo nodo. Il governo degli Stati Uniti non ha sottoscritto gli impegni del trattato. E quando un paese delle dimensioni degli Usa, che da solo contribuisce al 50 per cento delle emissioni di gas che alterano il clima prende questa posizione, è chiaro che il quadro assume tinte fosche. All’interno di questo panorama le mucillagini sono una sciocchezza rispetto a quello che gradatamente, ma inesorabilmente, sta succedendo. Ghiacciai che si sciolgono, calotte polari che si riducono, effetti del Nino sui fenomeni meteorologici, sono solo alcuni dei problemi planetari che ci attendono e verso i quali dovremo non solo prendere decisioni, ma operare rapidamente azioni di contenimento. In ogni caso, ritornando al tema delle mucillagini e sulla ricerca svolta, devo dire due cose: la prima è la soddisfazione per i risultati ottenuti che ci permettono di dire che ormai sulle mucillagini conosciamo forse più del 90 per cento di ciò che si può conoscere. La seconda cosa è la delusione che la ricerca non sia stata ulteriormente finanziata, il che lascia incompleto un processo di conoscenza e un patrimonio di relazioni e di sinergie che ha dimostrato di saper funzionare e di raggiungere utili risultati”.

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