Nel Neolitico i primi casi di peste in Europa

peste
(Credit: Rocky Mountain Laboratories, NIAID, NIH via Wikimedia)

Alla ricerca delle tracce biologiche più antiche di Yersinia pestis, il batterio che causa la peste, un gruppo di archeo-genetisti, guidato da scienziati del Max Plank Institute di Jena, Germania, ha analizzato 563 campioni di ossa e denti umani databili tra il Tardo Neolitico e l’Età del Bronzo e provenienti da Russia, Ungheria, Croazia, Germania, Lituania, Estonia e Lettonia. I ricercatori hanno così identificato il batterio in 6 individui, sequenziandone il genoma e riuscendo ad ottenere preziose informazioni sulla localizzazione temporale e spaziale del batterio nell’Europa centro-orientale tra 4800 e 3700 anni fa. I dati raccolti, presentati in un articolo sulla rivista Current Biology, suggeriscono che l’introduzione di Yersinia pestis in Europa sia collegata ai flussi migratori avvenuti in epoca Neolitica dalle steppe pontico-caspiche, che dalla Romania si estendono fino ai monti Urali.

E l’uomo incontrò la peste: due possibili scenari

Nel corso della storia tre grandi epidemie di peste hanno pesantemente ridimensionato la popolazione europea, influendo sulle sorti di stati e imperi: la “Peste di Giustiniano”, iniziata intorno al 540 d.C. e protrattasi a ondate via via meno virulente fino all’ottavo secolo, che indebolì un già instabile Impero Romano d’Oriente favorendone lo smembramento; la “Peste Nera” che, nella metà del 1300, ha causato la morte di quasi un terzo della popolazione europea; la “terza pandemia” di fine Ottocento, originatasi in Cina e da lì diffusasi in tutti i continenti, mietendo circa 12 milioni di vittime nel mondo. Il nuovo studio suggerisce che la peste – che non è scomparsa – possa aver avuto un impatto determinante sulle civiltà europee già a partire dall’epoca neolitica.

I dati genomici raccolti dai ricercatori del Max Plank e dai loro collaboratori evidenziano la stretta similarità dei batteri nelle diverse regioni ed epoche oggetto dello studio e sono compatibili con due possibili scenari: nel primo, Y. pestis sarebbe stato introdotto in quattro successivi momenti nell’arco di 1000 anni e in differenti regioni dalla stessa area dell’Eurasia; nel secondo a seguito di un’unica introduzione durante il tardo neolitico il batterio sarebbe diventato endemico anche in Europa. Per identificare l’ipotesi più probabile, i ricercatori hanno incrociato i dati dei genomi batterici con dati genomici umani, che hanno permesso di ricostruire le migrazioni da e verso le aree in cui sono state identificate le tracce di Yersinia pestis.

La concomitanza delle prime evidenze di peste in Europa con i massicci spostamenti delle popolazioni nomadi delle steppe eurasiatiche supporta l’ipotesi di un unico arrivo del batterio. E non è improbabile che proprio la peste sia stata la causa di queste migrazioni e del conseguente cambiamento genetico delle popolazioni europee, probabilmente dovuto ad una diversa immunità alla malattia in gruppi di etnie diverse. Alla ricostruzione completa della storia della peste nel Neolitico e del suo impatto sulle popolazioni mancano però ancora alcuni tasselli. E un gruppo di geni.

Le vie del contagio

Oltre al contagio uomo-uomo per via aerea, possibile solo nel caso di peste polmonare (quella che ha recentemente riguardato il Madagascar), la peste si trasmette da animale a uomo attraverso il morso di pulci infette. L’estrema virulenza delle forme attuali di Y. pestis è legata all’effetto di alcuni geni che permettono al batterio di colonizzare l’intestino dei parassiti, producendo un biofilm che impedisce alle pulci di “ingoiare” il sangue dei loro ospiti e costringendole invece a ri-iniettarlo nell’ospite. In questo modo i batteri riescono facilmente a trasferirsi dalle pulci ai ratti o agli uomini.

Nei ceppi antichi studiati dal team mancano però proprio alcuni dei geni che permettono la formazione del biofilm. Come riusciva allora Y. pestis a infettare gli uomini?

In realtà un meccanismo alternativo di infezione esiste anche per i batteri attuali, ma è molto meno efficace e anche meno compreso. Solo futuri e più ampi studi potranno determinare se e come un piccolo batterio come Y. pestis possa aver influenzato le migrazioni durante la preistoria, e se siano stati differenti livelli di immunità a questo batterio a determinare i cambiamenti osservati nel pool genetico delle popolazioni europee intorno a 4500 anni fa.

Riferimenti: Current Biology

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