Società

Newton & Co, geni bastardi

Dal 1660 la più importante delle associazioni scientifiche inglesi, la Royal Society, riuniva periodicamente a Londra i suoi membri per verificare le esperienze compiute o presentate dai soci e per renderne noti i risultati, eventualmente sottoponendoli alla discussione tra gli interessati. La società si proponeva infatti di fondare il pensiero scientifico soltanto su evidenze sperimentali, evitando di prendere in considerazione ipotesi soltanto teoriche o fondate sull’immaginazione speculativa. Curatore degli esperimenti era stato nominato Robert Hooke, fidato collaboratore di Robert Boyle e responsabile della costruzione di delicati e precisi apparecchi di misura.

Il saggio di Andrea Frova e Mariapiera Marenzana fa immergere il lettore nell’ambiente seicentesco della Royal Society, che verrà presto dominato dalla potente personalità scientifica del “divino” Isaac Newton. Qui di volta in volta gli scienziati, coadiuvati da esperti tecnici di laboratorio, affrontano vari tipi di problemi sperimentali, dalla costruzione dei primi orologi a molla alle indagini sulla natura della luce (che Newton immagina di natura corpuscolare mentre Hooke sostiene la sua natura ondulatoria), dalle teorie sulla gravitazione alla costruzione di microscopi abbastanza raffinati e di telescopi che raccolgono i dati necessari per indagare la struttura dell’Universo.

Lo sviluppo delle ricerche e le soluzioni proposte dai più noti scienziati dell’epoca diventano oggetto di comunicazioni e di scambi epistolari tra i membri della Royal Society. Inseriti nel loro contesto storico, questi documenti sono presentati dagli autori nella loro essenzialità scientifica, accompagnati tuttavia dal racconto delle controversie, delle amarezze, delle invidie e delle gelosie delle menti più eccelse che questionavano sulla priorità dei risultati sperimentali, elaborando talvolta a proprio nome dati raccolti da altri.

In questo acceso clima culturale la genialità di Hooke, unita a un carattere non facile e a una non perfetta conoscenza delle matematiche, era causa di frequenti conflitti e di veri e propri litigi, talvolta generate dall’atteggiamento ostile degli stessi membri della Royal Society e favorite, in particolare, del segretario Oldenburg che fomentava l’inimicizia tra Hooke e Newton. La ricca documentazione presentata in questo saggio rende finalmente giustizia alle misconosciute ma interessantissime ricerche di Hooke, al suo libro “Micrografia” con gli splendidi disegni delle immagini viste al microscopio, alle sue invenzioni originali, alle sofisticate apparecchiature che lui stesso costruiva a convalida delle sue teorie.

La prepotenza orgogliosa del grande Newton è presentata nella sua straordinaria competenza matematica ma anche nella incapacità di riconoscere i propri errori e, soprattutto al termine della vita, sedotto da pratiche alchemiche assai poco scientifiche. Dunque la sua immagine risulta ben diversa da quella piuttosto oleografica che appare nelle solite righe elogiative di un qualsiasi libro di testo. A fianco di questi due grandi personaggi, vivono, operano (e litigano) altri importanti scienziati: Boyle, e poi Halley, Flamsteed, Hevelius e Leibniz il quale, in un feroce e lungo scontro con Newton, voleva dimostrare e sostenere la sua priorità nella scoperta del calcolo differenziale.

Tutti geni, dunque, ma “bastardi”, impegnati nei tentativi di sopravanzare i colleghi e di tenere nascoste le proprie elaborazioni, pronti a spiare evitando di essere spiati, rompendo solidarietà e amicizie, cercando solidarietà tra coloro che sarebbero stati a breve considerati nemici.
In realtà, attraverso questi personaggi e le loro controversie, vengono messi a confronto due modi di fare scienza: quello inventivo, aperto alle mille problematiche a cui Hooke tentava di dare soluzione, e quello sistematico di Newton, intensamente concentrato su pochi problemi di fondo.

Non è scritto sui libri di testo, e per molti potrebbe essere una scoperta sapere che se entrambi gli scienziati avevano indipendentemente elaborato una teoria che descriveva l’attrazione gravitazionale come relazione quadratica inversa alle distanze tra le masse, era di Hooke l’idea di combinare, nella descrizione dell’orbita dei pianeti, il moto inerziale e il moto centripeto, soddisfacendo alle leggi enunciate da Keplero.

Andrea Frova, Mariapiera Marenzana
Newton & Co. Geni bastardi
Rivalità e dispute agli albori della fisica
Carocci editore @Sfere, 2015
pp. 203, Euro 22.00

Elisa Manacorda

Giornalista, è direttrice di Galileo, che ha fondato nel 1996 con altri giornalisti e ricercatori. Scrive di scienza e tecnologia per le principali testate italiane. E’ docente al Master SGP della Sapienza Università di Roma, collabora con il Master in Comunicazione della Scienza dell'Università di Ferrara. Con Letizia Gabaglio è autrice di "Il Fattore X" sulla medicina di genere.

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