L’inaugurazione era prevista per fine luglio ma lo Zoomarine di Torvaianica, in provincia di Roma, clone italiano dell’omonimo parco tematico portoghese, non aprirà. Almeno per ora, non disponendo delle necessarie autorizzazioni. Una bella notizia per tutti coloro che, avendo in orrore la cattività e ancor più l’esibizione in pubblico di animali, avevano protestato contro l’apertura della struttura. E sì, perché i 34 ettari del parco più che uno zoo saranno un grande circo con pinnipedi che “intrattengono i visitatori con il loro comportamento esotico e curioso”, leoni marini che “insieme a dei simpatici addestratori inscenano, sullo sfondo di una suggestiva scenografia, un’esilarante commedia”, pappagalli addestrati che “interagiranno in maniera unica ed esemplare con il pubblico” e, infine, “la principale attrazione del mondo Zoomarine”: lo spettacolo dei delfini. Uno show per 3.000 persone dove gli animali sono costretti a esibirsi “con giochi e acrobazie capaci di mostrare tutta la loro agilità e la leggendaria intelligenza”.Per il momento, dunque, “l’isola dei delfini”, così come la “baia dei pinnipedi”, il “galeone dei leoni marini” e la “foresta dei pappagalli”, rimarranno disabitate. Grazie alla mobilitazione degli Animalisti Italiani e all’iniziativa di alcuni amministratori locali sensibili alla causa animalista, si è scoperto che Zoomarine non ha l’ autorizzazione del Ministero dell’Ambiente. “Non l’ha nemmeno richiesta sebbene, essendo una struttura che rientra pienamente nel campo di applicazione del decreto che regolamenta gli zoo, avrebbe dovuto farlo” dice Ilaria Ferri direttore settori cattività ed ambiente marino degli Animalisti Italiani. Il riferimento è al decreto legislativo n. 73 del 21 marzo 2005 con il quale il nostro paese ha recepito la Direttiva europea sulla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici e al quale è soggetta “qualsiasi struttura pubblica o privata, avente carattere permanente e territorialmente stabile, aperta ed amministrata per il pubblico almeno sette giorni all’anno, che esponga e mantenga animali vivi di specie selvatiche, anche nate ed allevate in cattività”. Il parco di Torvaianica ha bisogno quindi della firma del ministro dell’Ambiente di concerto con i ministri della Salute e delle Politiche agricole e forestali. Ma i contrasti con la nuova normativa non finiscono qui: le disposizioni sulla cura, il benessere e la salute degli animali, prevedono che “ gli animali non devono essere indotti ad assumere atteggiamenti innaturali per la specie a beneficio del piacere del pubblico”. Insomma le due anime di Zoomarine, un po’ circo un po’ zoo, sono incompatibili: se vuole presentarsi come una struttura dedicata all’educazione ecologica e naturalistica dei cittadini non può proporre spettacoli in cui gli animali sono costretti ad attività contrarie alla loro natura. Attività per le quali devono essere sottoposti una dura disciplina che comprende anche la privazione del cibo.Tra l’altro, c’è da dubitare che gli stessi zoo, o bioparchi, come in tempi recenti sono stati ribattezzati, possano offrire una visione realistica, scientificamente fondata, di quella che è la vita degli animali in natura. Per questo, al di là della propagandata attenzione per il benessere animale (“Zoomarine significa impegno nella prevenzione, ricerca, educazione, soccorso e riabilitazione degli animali marini”, si legge nel sito), anche se Zoomarine dovesse rinunciare agli spettacoli, per i delfini che ospiterà la prospettiva è ben poco allegra. In cattività, infatti, i mammiferi marini soffrono molto anche se non sono impiegati in spettacoli di intrattenimento. Bastano alcuni numeri a dimostrarlo. A partire dalla vita media che in cattività per un delfino adulto è all’incirca di 6/7 anni contro i 30/40 anni allo stato libero. È vero che i dati variano molto a seconda delle strutture e dei paesi, ma dal Marine Mammal Inventory Report, uno studio americano che ha esaminato le aspettative di vita dei delfini per oltre 30 anni, emerge una realtà inconfutabile: i mammiferi nati in cattività vivono meno degli altri. Persino le dimensioni stabilite dalla Cites (Convention on International Trade of Endangered Species) per le vasche – 80 metri quadrati minimo per esemplare – sono, a quanto dicono gli esperti, troppo esigue per animali avvezzi alle vastità oceaniche. “Occorre infatti raffrontare le misure minime indicate nel regolamento con i valori normali di spazio utilizzato da singoli esemplari in condizioni naturali, che si misurano in superfici dell’ordine delle centinaia di chilometri quadrati e in profondità di decine di metri”, dice Giuseppe Notarbartolo di Sciara, uno dei maggiori esperti al mondo di cetacei. Inoltre, sempre secondo il regolamento Cites, la temperatura delle vasche non dovrebbe superare i 28°, ma spesso in estate si va molto al di sopra del limite. In queste condizioni, che variano di poco da un delfinario all’altro, vivono i 20 delfini delle cinque strutture esistenti in Italia: Gardaland (dove tra il 1997 e il 2000 sono morti quattro delfini), Rimini, Riccione, Zoosafari di Fasano e acquario di Genova (che però non utilizza gli animali negli spettacoli). Ci sono poi i sospetti sulla provenienza degli animali. I delfini, per esempio, sono inseriti nell’Appendice I della Cites, per cui ne è vietato il prelievo a scopi commerciali e l’esportazione. E la cattura degli esemplari per altri fini, come la cura di eventuali animali feriti o malati o il prelievo a scopi scientifici, può avvenire solo con l’autorizzazione del Direttore del Servizio Conservazione e Natura e della Commissione Scientifica Cites. A quest’ultima spetta anche il compito di concedere i permessi per l’importazione dei delfini e degli altri mammiferi marini destinati a Zoomarine. Gli Animalisti Italiani hanno chiesto che tramite un esame del DNA si accerti che gli animali provengano dalla cattività e non da prelievi illegali in natura. E, visto che dal 1973 al 1994 il National Marine Fisheries Services ha permesso la cattura di 1600 animali per rifornire i delfinari americani, il sospetto non è del tutto infondato.