Categorie: Salute

Nuove prove di trasmissibilità dell’Alzheimer?

Una pratica medica – per fortuna eseguita molto raramente – potrebbe provocare la trasmissione del morbo di Alzheimer da un cervello all’altro. A sostenerlo, con tutti i necessari condizionali e distinguo del caso, un’équipe di scienziati dello Institute of Neuropathology alla University Hospital Zurich, in Svizzera, e dello Institute of Neurology alla Medical Unviersity Vienna, in Austria, sulle pagine della rivista Swiss Medical Weekly. I risultati della ricerca, ancora tutti da confermare, sono molto simili a quelli ottenuti, a settembre scorso, da un altro studio, pubblicato su Nature, i cui autori sostenevano di aver trovato “una prova di trasmissione umana della patologia da beta-amiloide e angiopatia cerebrale amiloide”. Parole che ricordano sinistramente il morbo di Alzheimer, caratterizzato per l’appunto dalla formazione di placche cerebrali composte del peptide beta-amiloide.

Gli autori della ricerca, in particolare, hanno analizzato il cervello di sette persone decedute dopo aver contratto la sindrome di Creutzfeldt-Jacob (Cjd, di cui una variante è la tristemente celebre mucca pazza), un disturbo neurodegenerativo che conduce a una forma di demenza progressiva e mortale. Tutti i soggetti, diversi anni prima di morire, erano stati sottoposti a trapianto di dura madre (la membrana che ricopre il cervello e il midollo spinale); gli innesti di dura madre erano stati, a loro volta, prelevati da cadaveri umani ed erano inavvertitamente contaminati dal prione responsabile della Cjd, il che ha provocato, in seguito il contagio.

Stando all’analisi dei neuroscienziati, però, cinque dei sette cervelli esaminati mostravano anche alcuni dei segni patologici associati al morbo di Alzheimer, in particolare placche di beta-amiloide nella materia grigia e nei vasi sanguigni, che si sarebbero trasferite, sotto forma di semi, da un paziente all’altro. A suffragare il sospetto di trasmissione di Alzheimer è, in particolare, un’evidenza: tutti i pazienti erano di età compresa tra 18 e 63 anni – troppo giovani, dunque, per sviluppare naturalmente le placche, tanto più che in un gruppo di controllo, composto di 21 persone che non avevano subito il trapianto di dura madre ma che avevano contratto la Cjd, non è stata trovata alcuna placca di beta amiloide.

In ogni caso, per evitare allarmismi, è bene ribadire che né questo studio né quello pubblicato a settembre implicano che l’Alzheimer sia in qualche modo contagioso e che stare a contatto con un malato di Alzheimer possa costituire un rischio per la salute. Fortunatamente, sia l’ormone della crescita (oggetto dello studio pubblicato a settembre) che la pia madre non si espiantano più da cadaveri, essendo da diverso tempo stati soppiantati dalle relative versioni sintetiche. “Abbiamo bisogno”, conclude Pierluigi Nicotera, a capo del Centre for Neurodegenerative Diseases di Bonn, ai microfoni di Scientific American, “di nuovi studi sistematici per capire se l’ipotesi di inseminazione dell’Alzheimer sia corretta o meno”.

Via: Wired.it

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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