Panico Ogm

Francesca Ceradini
La paura delle biotecnologie.  Storia di una crisi di rapporto tra scienza e società
Aracne 2008, pp. 78, euro 7,00

Capita, chiacchierando con gli amici o mentre ci si trova di fronte allo scaffale del supermercato, di sentire che i pomodori geneticamente modificati contengono i geni mentre quelli normali no, oppure che gli animali transgenici sono più grandi di quelli normali. La percezione che il grande pubblico ha delle biotecnologie, infatti, non sempre corrisponde al vero e tra ipotesi di chimere e cloni umani, fragole alle lische di pesce e pecore nate in laboratorio, il rischio panico è alto. Ma chi lo ha detto che la natura è genuina e sicura e che la scienza è sempre manipolatrice? Con questa provocazione Francesca Ceradini, biologa molecolare con esperienza nel campo della ricerca di base e oggi responsabile scientifico di Parent Project onlus, un’associazione che finanzia la ricerca sulla distrofia muscolare di Duchenne e Becker, cerca di far cadere quell’alone di leggenda che troppo spesso ed erroneamente circonda le biotecnologie. E per farlo punta il dito contro la mancanza di un dialogo flessibile ed efficace tra il mondo della scienza e la società in generale.

Le dispute in campo alimentare e medico hanno reso le biotecnologie sempre più protagoniste del dibattito pubblico, coinvolgendo attori prima relegati ai margini della ricerca e della scienza. Oggi i cittadini, le associazioni, i consumatori sono diventati parte del processo decisionale sulle questioni tecnico-scientifiche della società moderna, grazie anche a un diverso rapporto tra scienza e società.

Dall’allarme mucca pazza scoppiato in Gran Bretagna, dai primi cibi transgenici americani, dalla patata killer alla pecora Dolly passando per il clone umano e le cellule staminali, il volume passa in rassegna tutti i principali eventi che hanno lasciato un segno, raccontando con dovizia di particolari e senza mai eccedere in un linguaggio troppo tecnico le prospettive della ricerca. E senza dimenticare di sottolineare che la distinzione tra la natura genuina e la scienza manipolatrice è più qualcosa di inventato che un problema reale. Facciamo due esempi: gli ambientalisti si sono lanciati in una campagna contro il mais Bt, accusato di mettere a rischio la sopravvivenza della farfalla monarca, dimenticando che questo mais è stato creato ad hoc proprio per evitare pesticidi chimici nocivi per gli insetti benefici. E ancora, la maggior parte dei consumatori è contrario all’introduzione sul mercato di prodotti alimentari transgenici per paura che il loro consumo possa portare al trasferimento di geni nelle cellule umane. Eppure tutte le specie agricole esistenti sono state create dall’essere umano incrociando e selezionando le specie da coltivare, spostando migliaia di geni e perseguendo lo stesso obiettivo dell’agricoltura transgenica, cioè aumentare la produttività, la resistenza alle malattie e ai parassiti e l’adattamento al clima sfavorevole. Per dirla con una frase contenuta nel libro, citata dal messicano Luis Herrera-Estrella: “Abbiamo mangiato piante per milioni di anni, se il trasferimento di geni potesse verificarsi saremmo già tutti verdi e foto sintetici”.

Il libro mette in evidenza, inoltre, come le biotecnologie rosse, cioè applicabili in campo medico-terapeutico, siano più accettate dal pubblico (a eccezione della clonazione a scopo riproduttivo) rispetto a quelle verdi, cioè agroalimentari. Questa diversa modalità di approccio, spiega l’autrice, che si occupa anche di comunicazione della scienza, dipende da false credenze e da una conoscenza scarsa dei temi scientifici. La scienza non sempre è vista come neutra, per cui se ne criticano i progressi quando appare troppo desiderosa di superare i propri limiti, anche etici. Per non parlare dei legami della scienza con i poteri forti, politici ed economici. Ma il gap è anche a livello comunicativo: troppo spesso giornali e Tg trattano i contenuti scientifici al pari di tutte le altre notizie, a danno della precisione e dell’approfondimento che temi così importanti meriterebbero. Ne deriva un’informazione spesso distorta e carente al grande pubblico. Che fare allora? Tra le proposte avanzate nell’ultimo capitolo del libro, quella di una comunicazione esplicita e chiara tra scienziati e politici per avere il consenso dei cittadini e riacquistare la loro fiducia, quella di una comunicazione da parte dei media più preparata da affidarsi ai comunicatori della scienza, professionisti che conoscono il metodo scientifico ma sappiano tradurlo in un linguaggio adatto al grande pubblico.

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