Perché è difficile rompere le abitudini

Le vecchie abitudini sono dure a morire, dice un proverbio. Ma perché è così difficile rinunciare a certi comportamenti, spesso controproducenti per il nostro benessere? Alla Duke University, in Carolina del Nord, il team guidato da Nicole Calakos studia da anni questo problema e ha appena pubblicato su Neuron uno studio che fa luce sui processi cerebrali alla base delle dipendenze. La ricerca dimostra che alcune cattive abitudini “marchiano a fuoco” specifici circuiti del nostro cervello, inducendoci a mantenerle nel tempo.

I ricercatori hanno osservato ciò che accade nel cervello di topi quando questi vengono indotti a sviluppare dipendenza dagli zuccheri, attraverso la somministrazione di dolcetti che segue l’azionamento di una leva da parte dei roditori. I topi divenuti dipendenti si differenziano dagli altri perché continuano a premere la leva anche in assenza della dolce ricompensa. Negli animali è stata poi valutata l’attività nei gangli della base, una rete complessa formata da diverse aree cerebrali e coinvolta nel controllo motorio e nei comportamenti compulsivi. Qui, due diversi circuiti danno origine a due messaggi opposti: il primo trasmette un segnale di tipo “go” che promuove il comportamento dipendente, il secondo un segnale “stop” che invece lo sopprime.

Nei topi zucchero-dipendenti, il circuito “go” è risultato iperattivo, ma sorprendentemente la stessa cosa è stata osservata anche per il circuito “stop”. La spiegazione sembra trovarsi però nelle tempistiche di attivazione: infatti, negli animali dipendenti il segnale “go” si accende prima di quello “stop”, mentre nei non-dipendenti lo “stop” precede il “go”. Gli scienziati sono stati addirittura in grado di prevedere correttamente a quale gruppo appartenevano i topi soltanto osservando queste caratteristiche in un singolo frammento isolato del loro cervello. Le alterazioni rilevate, tuttavia, riguardavano l’intera regione dei gangli della base, e questo potrebbe spiegare perché la dipendenza da una certa sostanza, o comportamento, predispone a sviluppare altri tipi di abitudini nocive.

Ma è possibile resettare questi circuiti? I ricercatori ci hanno provato, ricompensando i topi se smettevano di azionare la leva, e hanno osservato che gli animali che più facilmente modificavano le loro abitudini erano quelli con segnali “go” più deboli. Ciò suggerisce possibili strategie per il trattamento delle dipendenze negli esseri umani: l’idea è quella di utilizzare la stimolazione magnetica transcranica (tms), una tecnica non invasiva che sfrutta impulsi magnetici per stimolare il cervello, mirando a precise aree della corteccia cerebrale connesse ai gangli della base. L’autrice dello studio prevede: “Un giorno saremo in grado di intervenire su specifici circuiti in modo da promuovere le abitudini che vogliamo mantenere e contrastare quelle indesiderate”.

Riferimenti: Neuron Doi:10.1016/j.neuron.2015.12.032

Credits immagine: tiadescauda/Flickr CC

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