Perché guardiamo quel che guardano gli altri

“Cosa staranno guardando?” Sarà capitato a tutti di porsi questa domanda mentre, camminando per una strada affollata, si osserva la gente puntare gli occhi verso un’unica direzione. E probabilmente sarà successo anche agli autori dello studio appena pubblicato su Pnas, in cui, per l’appunto, ci si interroga sull’influenza che può avere la folla sulla direzione del nostro sguardo. Provenienti da Oxford, Uppsala e Princeton, diversi biologi comportamentali guidati da Iain D. Couzin hanno condotto un’analisi molto complessa che ha coinvolto oltre tremila persone, durata più di due anni (qui il video).

Due gli esperimenti svolti, per tentare di rispondere anche a questi interrogativi: perché assumiamo – o non assumiamo – comportamenti simili a chi ci è vicino? Per sentirci uguali agli altri o, viceversa, per mantenere una nostra identità? Nel primo esperimento è stato utilizzato uno stimolo – cioè gruppi di persone addestrate a fermarsi e guardare la cima di un palazzo – che aveva la funzione di esca per i passanti in una spazio definito: una via dello shopping di Oxford.

Grazie all’uso di videocamere (montate sulla testa dei volontari) e a modelli matematici per l’analisi dei movimenti dei passanti, sono stati confermati alcuni dati ottenuti in precedenza negli studi del famoso psicologo Stanley Milgram, che negli anni Sessanta aveva dimostrato come la direzione del nostro sguardo durante una passeggiata tra la gente venga influenzata in maniera direttamente proporzionale all’ampiezza dello stimolo: più persone guardano in una direzione, più saremo portati a fare altrettanto. L’effetto tocca un punto massimo detto di saturazione, già predetto negli studi di dinamica dei gruppi.

Nel secondo esperimento, invece, ai volontari è stato chiesto di fare finta di consultare una cartina stradale sia in una via dello shopping sia in una stazione ferroviaria. L’esperimento si svolgeva in questo modo: lo stimolo era un volontario con la cartina in mano che guardava avanti, ma non verso un punto specifico. Questa situazione poteva generare un comportamento tipico, osservato soprattutto in strada: un primo passante si girava nella direzione del volontario, vedendo un negozio di gioielli. Un secondo passante si girava verso il volontario, ma guardava un altro negozio distante circa 15 metri dalla gioielleria. In questo senso, entrambi i passanti sono stati influenzati, ma hanno guardato in direzioni diverse. In ogni caso, la distanza “di influenza” si riduce a due metri di raggio. L’esperimento, ripetuto per tanti stimoli e tanti passanti, mostra che in questa situazione gli sguardi dei passanti spaziano a 360 gradi, mentre nel primo test gli sguardi erano focalizzati verso un punto specifico. Nella stazione le cose sono andate in maniera diversa: gli sguardi sono stati sempre influenzati dalle persone vicine, ma non da quelle più prossime. Soprattutto gli uomini evitano di osservare quello che sta facendo chi è loro accanto. Gli autori ipotizzano che dietro questo comportamento vi sia la paura che lo sguardo possa essere interpretato come minaccia.

La trasmissione dell’attenzione dipende quindi dalle caratteristiche del luogo (una stazione o una strada), dal contesto sociale e dal genere. L’analisi dei due esperimenti conferma comunque che e l’atteggiamento degli altri induce sicurezza e consenso nella maggior parte degli individui che emulano. Inoltre l’effetto aumenta quando chi copia non viene osservato da chi induce il comportamento. Questo perché, probabilmente, viene ridotto il senso di obbedienza e di pressione sociale. In ogni caso, concludono gli autori, riuscire a quantificare e qualificare questi comportamenti ancora non riesce a svelarci il motivo psicologico che ci spinge a seguire uno sguardo.

Riferimento: doi: 10.1073/pnas.1116141109

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