Dopo il caso Stamina, l’Italia torna a occupare le pagine di Nature. Stavolta a richiamare l’attenzione della prestigiosa rivista è stata l’incursione di alcuni animalisti all’interno dello stabulario dell’università di Milano, presso il Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale, portata avanti dal gruppo Fermare Green Hill. L’occupazione dello stabulario si è conclusa con la perdita degli animali usati nella sperimentazione, perché gli attivisti ne hanno rilasciati un centinaio (tra topi e un coniglio) e hanno mischiato le etichette sulle gabbie, rendendone impossibile il riconoscimento.
Una “liberazione”, la chiama il gruppo di attivisti, “un danno nell’ordine di centinaia di migliaia di euro” per gli scienziati che hanno speso anni di lavoro su quei modelli animali e che affidano le loro risposte all’attacco in una lettera pubblicata sulla rivista Prometeus dell’Associazione nazionale biotecnologi italiani (Anbi). Perché se è vero, scrivono, che quello della sperimentazione animale è un tema eticamente complesso e delicato, “è altrettanto innegabile che i grandi progressi della medicina e lo sviluppo di terapie sono stati possibili solamente grazie all’uso di animali da laboratorio, utilizzo che sarà necessario anche per futuri auspicabili sviluppi”.
L’incursione, cominciata sabato mattina e portata avanti da cinque attivisti (che sarebbero riusciti ad entrare senza commettere infrazioni), è durata circa 12 ore, durante le quali gli animalisti di Fermare Green Hill hanno scattato foto e video con l’intento, da loro dichiarato, di mostrare le condizioni in cui vivevano gli animali (e rilasciando immagini di loro stessi incatenati alle porte).
Gran parte di quelli custoditi allo stabulario milanese – circa 800 – sono modelli utilizzati per ricerche nel campo delle malattie del sistema nervoso, quali autismo, Parkinson, Alzheimer, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, sindrome di Prader-Willi, dipendenza da nicotina. Malattie per le quali, ricordano i ricercatori “vi è un disperato bisogno di cure, attualmente non disponibili”, e che gli attivisti, con le loro azioni hanno compromesso, “mandando in fumo il lavoro di anni di ricerca scientifica e i finanziamenti relativi”.
“L’incidente di sabato crea un precedente di inaudita gravità”, continuano i ricercatori e gli associati dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Milano, che lavorano nella struttura milanese e che si augurano ora che i responsabili rispondano giuridicamente delle loro azioni: “Gli animalisti si sono arrogati il diritto di bloccare le ricerche approvate dagli uffici competenti del ministero della Ricerca, condotte secondo tutte le norme nazionali e internazionali sul trattamento degli animali da esperimento, finanziate da enti pubblici ma anche da fondazioni Onlus, queste ultime sostenute dalle donazioni di cittadini generosi interessati alla salute pubblica. Gli stabulari del Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale rispondono a tutti i requisiti della legislazione europea vigente, e gli animali (topi, ratti e conigli, allevati ai soli scopi della ricerca e incapaci di sopravvivere in ambiente diverso da quello del laboratorio) sono mantenuti con la massima cura”.
Invece, a dispetto dell’opinione degli scienziati, gli attivisti di Fermare Green Hill, dopo l’occupazione festeggiavano il rilascio degli animali invitando ad adottarli sulla loro pagina Facebook. Forse ignari del fatto che la loro “ liberazione” significava in realtà togliere quegli animali alla ricerca scientifica per esporli a morte in un ambiente completamente diverso da quello in cui avevano vissuto finora.
Via: Wired.it
Credits immagine: Ikayama/Flickr