Perché serve il basso per seguire il ritmo?

C’è uno strumento che lega generi musicali diversi come il reggae, la house, l’hard rock e il jazz: il basso, onnipresente, e instancabilmente impegnato a tenere il tempo dei pezzi. La funzione ritmica dei suoni bassi in effetti è una caratteristica praticamente universale nella musica, presente anche nelle composizioni per orchestra, nelle sonate per piano, e nella musica delle società primitive. Un caso? Tutt’altro: secondo un team di ricercatori del McMaster Institute for Music and The Mind affidare la ritmica ai suoni bassi aiuterebbe infatti l’ascoltatore ad andare più facilmente a tempo con la musica, un fenomeno dovuto a sua volta alla fisiologia del nostro apparato uditivo.

Nello studio, apparso sulle pagine dei Proceedings of the National Academy of Sciences, i ricercatori hanno utilizzato un elettroencefalografo (strumento che misura l’elettroencefalogramma, o Eeg) per registrare l’attività cerebrale di un gruppo di volontari mentre venivano esposti a particolari stimoli acustici. Quando il nostro cervello percepisce un suono inaspettato, come una nota fuori tempo, produce una risposta caratteristica definita mismatch negativity (Mmn), e misurandone l’intensità è quindi possibile determinare quanto il nostro apparato uditivo si renda conto di una determinata irregolarità ritmica.

I suoni che sono stati fatti udire ai volontari contenevano contemporaneamente una nota alta e una bassa, ripetute all’unisono. Ogni tanto però, una delle due note veniva presentata con 50 millisecondi di ritardo rispetto all’altra, e grazie al’Eeg i ricercatori potevano verificare quando precisamente il cervello si accorgesse dell’irregolarità. I risultati dell’esperimento hanno dimostrato che il riconoscimento era molto più accurato quando ad essere in ritardo era il suono basso. Per comprendere l’origine del fenomeno, i ricercatori hanno utilizzato un modello computerizzato dell’orecchio umano, con cui hanno analizzato cosa succede a livello del nervo cocleare (che collega l’orecchio al cervello) in presenza dei suoni utilizzati nell’esperimento precedente.

I risultati della loro analisi sembrerebbero dimostrare che la maggiore facilità con cui riconosciamo il tempo dei suoni bassi sia un fenomeno innato, legato probabilmente alla fisiologia del nervo cocleare. Affidare il ritmo al basso dunque non sarebbe una questione di consuetudine, ma (piuttosto letteralmente) di orecchio.

Via Wired.it

Credits immagine: kris krüg/Flickr

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