Piano? Quale piano?

I piani per le emergenze radiologiche in Italia non sono conformi alle norme fissate dalle direttive Euratom. E’ questa l’accusa rivolta dalla Commissione europea al nostro paese, che ci è costata il deferimento alla Corte di giustizia. Secondo il governo di Bruxelles, la legislazione italiana non applica in modo adeguato le norme Euratom riguardanti la predisposizione di piani di emergenza per la protezione della popolazione in caso di emergenza radiologica. Inoltre non fornisce ai cittadini sufficienti informazioni preliminari sui piani stessi, ritenute fondamentali “per ridurre al minimo le conseguenze sanitarie in caso d’incidente radiologico”. Le Direttive che l’Italia avrebbe snobbato sono la 89/618/Euratom “Norme per la protezione della popolazione dalle radiazioni ionizzanti” e la 96/29 “Provvedimenti di protezione della popolazione in caso di emergenza radioattiva”. Entrambe sono state recepite dal nostro paese dal D.lgs n. 230/1995. Sebbene in Italia non ci siano centrali attive, gli impianti di alcuni stati confinanti rappresentano un pericolo per il nostro paese e il rischio di incidente radiologico è legato anche alla presenza di centri di ricerca che utilizzano reattori nucleari, di impianti di lavorazione e deposito di materiale radioattivo e nucleare e di alcuni porti di naviglio a propulsione nucleare. Ma se il D.lgs fissa le norme di base sui piani di intervento e sull’informazione preventiva ai cittadini in caso di emergenza legata a incidenti negli impianti nucleari, nelle installazioni in cui sono detenuti o impiegati materiali radioattivi, alla presenza di naviglio a propulsione nucleare nei porti o quelli a trasporto di materie radioattive, in molti casi rinvia a successivi decreti le modalità per la loro attuazione. E proprio qui sta l’inghippo.“Agli articoli 124 e 125, il D.lgs prevedeva l’emanazione di decreti ad hoc che stabilissero le modalità di applicazione delle disposizioni in tema di predisposizione di piani di emergenza per le attività di trasporto di materie radioattive e alle aree portuali interessate dalla presenza di naviglio a propulsione nucleare. Cosa che è avvenuta formalmente nel febbraio 2006 con l’emanazione di due linee guida”, spiega Enrico Sgrilli, Responsabile Servizio Radioprotezione Dipartimento Ris dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (Apat). Troppo tardi, insomma, e giusto il tempo necessario perché la Commissione avviasse una procedura d’infrazione contro l’Italia. Lettera morta, dice l’Ue, sono rimaste anche le disposizioni concernenti l’informazione della popolazione sulle misure di protezione sanitaria e sul comportamento da adottare nei casi di emergenza radiologica. “L’articolo 133 prevede la costituzione di una Commissione permanente con i compiti di predisporre le informazioni preventive alla popolazione e gli schemi generali delle informazioni da diffondere nel caso di una situazione di emergenza e studiare le modalità per verificare che siano giunte ai cittadini”, spiega Antonella Rogani, ricercatrice del Dipartimento Tecnologie e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). “Sulla base di tali schemi il prefetto o il Dipartimento della Protezione Civile, nell’ambito delle proprie competenze, stabiliscono le modalità operative per la definizione e la diffusione dell’informazione in caso di emergenza. Fino ad oggi, tuttavia, tale Commissione non è stata ancora istituita”. Il deferimento alla Corte di Giustizia, però, sostiene Sgrilli, non deve far pensare che la legislazione italiana sia debole. “L’Italia ha predisposto dal 1997 un piano nazionale di intervento contro le emergenze radiologiche che prendeva in esame anche gli eventuali incidenti relativi a navigli a propulsione nucleare e quelli in corso di trasporto. Nel caso delle navi militare erano già stati approntati appositi piani di emergenza per i porti interessati e le disposizioni delle linee guida emanate a febbraio ne estendono l’applicazione anche ad ipotetici navigli civili. L’estensione della pianificazione di emergenza anche ad impianti non nucleari, del resto, era già avvenuta con il D.lgs 241/2000 che ha modificato il 230”, spiega Sgrilli. Inoltre, le norme italiane in materia sono talmente rigorose da non far temere il pericolo di incidenti radiologici. “I trasporti di quantità consistenti (combustibile nucleare esaurito, grandi quantità radioisotopi per impianti di irraggiamento) avvengono nell’osservanza delle norme dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Inoltre l’art. 5 della legge italiana 1860/ 62 obbliga, anche per livelli molto bassi di sostanze radioattive, di avvalersi di un vettore autorizzato dal Ministero delle Attività Produttive”, conclude Sgrilli. “Nel corso dell’istruttoria tecnica sulla richiesta di autorizzazione al trasporto, condotta anche dall’Apat, vengono presi in esame le strutture e le capacità tecniche e di radioprotezione, l’organizzazione, la formazione e l’addestramento del personale. Severe anche le regole e i controlli per il rilascio delle autorizzazioni a nuove installazioni che utilizzano sorgenti o materiali radioattivi, alle quali si aggiunge, nel caso di elevate quantità da trattare, la predisposizione obbligarla del piano di emergenza”.

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